mercoledì 31 agosto 2005

Buonasera, dottore.

"Buonasera, dottore". Ero entrato il quella casa vecchia fatta di pietre e d'ombra, come fosse la prima volta. E invece ci andavo tutte le settimane, o quasi, per la mia "seduta" dall'analista.


"Buonasera: si accomodi". Mi accoglieva sempre con la stessa immutabile, rassicurante frase. Probabilmente usava la stessa cortese espressione con tutti i suoi pazienti, o "clienti", come amava chiamarli.


"Dottore, ho capito". Cominciai a parlare, perché sentivo che avrei dovuto parlare. "Ho capito qual è il mio problema: non sopporto il cambiamento, qualsiasi tipo di cambiamento. Mi dà fastidio perfino dover cambiare strada nel quotidiano tragitto casa-lavoro, a causa dei lavori stradali. Mi dà fastidio annotare un numero telefonico variato. Mi dà fastidio mangiare cose troppo diverse da un giorno all'altro. Soffro per un lavoro che mi porta periodicamente a cambiare ambiente. Lo so, molte persone mi invidierebbero: la monotonia non è vista come una condizione ideale. Però a me innervosisce dover affrontare problemi sempre nuovi, grandi o piccoli. E pensare che da giovane sono stato un pioniere, un apri-pista in molte occasioni. Ma adesso, no: adesso basta. Adoro i treni che corrono sui binari e non hanno molte possibilità di dover decidere dove andare ! Vorrei i giorni sempre uguali ... per illudermi che il tempo non passa, per rubare un po' di eternità ! Ma un pezzetto circoscritto di eternità non ha più nulla di eterno: questa è una contraddizione, basata su un'illusione. Se tutto ciò che il nostro sguardo abbraccia è deserto, siamo portati a pensare che tutto il mondo sia deserto. Sembra che io le stia facendo una lezione. Lei, dottore, queste cose le sa molto meglio di me. E ne resta immune. Io invece non vorrei neanche cambiarmi d'abito. Camminare mi provoca un leggero senso di vertigine: figuriamoci spostarmi in macchina. A casa si è rotta la presa dell'antenna TV: che c'entra ? Ho dovuto cambiarla. Quest'anno non sono andato al mare nello stesso posto dell'anno scorso: ho dovuto cambiare i miei passi consumati, che mi portavano al giornalaio, poi al bar, poi in spiaggia. Un'altra spiaggia, un altro tramonto. Che orrore ! Stavo male anche in altri tempi quando le ragazze stavano con me solo una settimana o due: ogni volta cambiare nome, sentire altre mani, un altro odore, altri capelli. Molti miei amici mi invidiavano. Io mi sentivo perso. Tutte a saltarmi addosso per il sesso, nessuna che abbia saputo 'leggermi' davvero. E' per questo che scrivo: ogni tanto mi prende il demone della scrittura, e le dita corrono veloci sulla tastiera, mai troppo veloci per fissare i pensieri, la vita che mi ribolle dentro. Per fortuna cambio raramente il computer che uso per scrivere. L'ultima volta è stato un disastro: non sentivo più la giusta pressione dei tasti, mi uscivano parole mozze, storpiate ! Dovrei cambiare modo di vedere la vita, la mia vita ? Preferirei evitare questo cambiamento. Ho visto cambiare mode più veolcemtente delle stagioni: nessuno più dice 'pronto', rispondendo al telefono. Dopo un frettoloso 'ciao', si chiede subito 'dove sei ?', perché il cellulare ha tolto anche quella semplice certezza di chiamare una persona in un determinato luogo di casa sua. Odio cambiare canale, le rare volte che guardo la TV. Non ci sono più appuntamenti fissi, a parte forse il film del lunedì e qualche partita il mercoledì. Neanche quelle sono più sullo stesso canale dove potevo trovarle l'anno scorso. Dettagli, particolari insignificanti. Perché devo impegnare le mie già scarse capacità intellettive a rincorrere dettagli che cambiano alla velocità del vento ? Dottore ..."


"Sì, mi dica !" la sua voce era calma e ferma.


"Da chi andrò a farmi curare quando Lei si ritirerà in pensione ?"

lunedì 29 agosto 2005

Extrasistole

Un altro mattino,

un cuore che inventa i suoi battiti,

rallenta,

riprende la corsa,

volteggia sui pattini.


Paesaggi stupìti,

non manca la voglia di palpiti,

fermarsi

e poi rituffarsi:

un'altra extrasistole.

giovedì 25 agosto 2005

Gli arcobaleni del cuore

Quanti arcobaleni mi disegna il cuore,

per cercare di confondermi la mente.


Quante ghirlande fatte di parole,

allacciate alla vita, prepotentemente.


Quanti ricordi, quante sensazioni

e quante impercettibili emozioni.


Respiro, ascolto, stringo forte gli occhi,

non sento che mi tremano i ginocchi.


Il nome tuo contiene tutto questo

ed altri mondi ancor che non riesco,


nel vago turbamento di colore,

a riempire con tutto questo amore.

domenica 21 agosto 2005

Entropia

Entropia,

che tutto prendi

e tutto butti via,

smetti di assorbirmi tutta l'energia,

lascia in pace questa vita mia.


Tu che fai scadere

l'elettricità in calore,

tu che per farci tornare in vita

chiedi lavoro, generi dolore.


Entropia,

regina dei buchi neri,

imperatrice di mille misteri,

lascia trovare pace ai miei pensieri.


Tu che fai degradare

spesso l'amore in sesso,

tu fammi tornare a credere

che ancora sia possibile: vivere.

giovedì 18 agosto 2005

Gocce di sangue



Dopo che la spina ha lasciato il suo segno, l'Esperimento la teme.

(Il Diario di Eva - Mark Twain)




Goccia di sangue dal dito:

dolore che punge, di sangue soltanto una goccia.


La rosa può pungere: fa male far male ?

Ne piange, la rosa, di questo dolore ?


Oggi ho imparato una cosa:

dovrò rispettare la rosa.


Chissà se ha imparato, la rosa,

da quel mio dolore qualcosa.

venerdì 12 agosto 2005

Ferragosto

Era Ferragosto, nel '96. Nel caldo soffocante della città semideserta, nel caldo appena meno asfissiante della nostra casa, stavamo per metterci a tavola. I due bambini mangiavano per primi, come al solito. Noi aspettavamo che loro finissero e solo dopo, quasi in silenzio, stanchi, ci saremmo seduti: in cucina, senza tovaglia, maccheroni al sugo, polpette, patate fritte, ma solo perché era Ferragosto.


In quel momento, squillò il telefono. Non aspettavamo chiamate: una scocciatura proprio a Ferragosto ?


Non ricordo la voce, credo fosse mio padre, o suo cugino: "Mamma sta male" disse solo "la portiamo all'ospedale di B." e riattaccò. Il tempo di bere un po' d'acqua, mettere in bocca un pezzo di pane, vestirmi al minimo ed ero già in macchina. Quel posto era lontanissimo da casa, bisognava attraversare tutta la città e poi addentrarsi per le campagne a nord. Mi fermai un paio di volte a chiedere la strada: a Ferragosto sembrano tutti spaesati, spauriti, diffidenti. Senza sapere bene come, arrivai in vista dell'ospedale. Scesi dalla macchina, e vidi il cugino di mio padre venirmi incontro con una faccia che non lasciava dubbi.


Sentii all'improvviso cadermi addosso una stanchezza, un caldo, come se il mio corpo mi avesse abbandonato e fossero rimasti solo gli occhi a darmi un po' di contatto col mondo reale. In certi momenti ci si chiede davvero che cos'è il mondo reale.


Lei era lì, stesa sul marmo, bianca come il marmo. Sembrava la statua di sé stessa. Sembrava perfino più piccola. E invece era la più grande, senza dubbio la più importante donna della mia vita, poiché mi aveva dato la vita. Quanto era stata capace di farsi odiare, per aver troppo amato ! Quanto era stata vittima del prossimo, comportandosi al di sotto delle sue reali possibilità ! Quanto si era agitata, per far andare le cose com'era giusto che andassero, perché lei lo sapeva che cosa era giusto, ma non sapeva convincere gli altri. Quanto aveva scommesso su di me, unico figlio, e quanto non si era resa conto di aver vinto, in parte, e quanto aveva perso ! Avrei dovuto fare il medico, secondo lei: chissà magari sarei riuscito a guarirla di tutti i suoi mali, veri o presunti. Perché quando si è convinti di essere malati, si è più malati dei malati veri.


Adesso lei era lì, e qualcuno le aveva chiuso gli occhi, non io. Assente ingiustificato. Mio padre fuori dal mondo come al solito, incapace di starle vicino fino alla fine. E io dov'ero ? Ad occuparmi della mia famiglia. Come se bastasse dar da mangiare a due bambini piccoli per occuparsi della famiglia. Troppo orgoglioso per perdonare, troppo introverso per riuscire a comunicare con una donna che mi stava dando troppo, in modo che credevo sbagliato, quasi come mia madre.


Alla fine, l'uomo della macchina nera disse che faceva troppo caldo, dovevamo andare. Il corteo di poche auto si mosse verso il paese. Non so come e perché, io ero da solo nella mia macchina. Sulla discesa c'eravamo soltanto noi: vidi la fila di macchine avanti a me, capeggiata da quella lunga e nera. Fu allora che scoppiai a piangere, come non avrei mai immaginato. Fu allora che compresi che lei non c'era davvero più per me, per nessuno: era davvero tadi, troppo tardi.

mercoledì 10 agosto 2005

Bellezza

"il bello, di così ardua definizione a onta di tutte le evidenze dei sensi e della vista"


Cadono anche a Berlino, le stelle, stanotte ?

Per me, stelle, luoghi, anche di insana bellezza

non si confrontano con la tua inarrivabile,

concreta e virtuale, ritrosa e visibile,

assoluta incontrastabile

oscenamente perversa verginale

bellezza.


Cadono stelle, stanotte:

esse non odono i miei desideri

rincorrere segretamente

attrazioni senza domani,

sfiorare di mani,

contatti di labbra,

matite degli occhi a seguire leggere

contorni di un corpo,

confini di un'anima-contenitore

di quella struggente bellezza.


Cade la notte, stanotte

e non vede, nel buio del cielo,

non vede in coda alle stelle che cadono,

non vede non sente non cerca bellezza:

perché in nessun luogo è il suo luogo,

perché inarrivabile, strana, impossibile,

irresistibile sei, mia bellezza.

Romeo e Giulietta: prima parte - Romeo

Potevano a maggior ragione chiamarsi "Paolo e Francesca", ma lui non si chiamava Paolo, e poi "Giulietta e Romeo" suonava più azzeccato come stereotipo di un Amore con la "A" maiuscola.


Romeo era un tipo idealista: un idealista disincantato, ma pur sempre poco attratto dalle cose pratiche. Fin da ragazzo, credeva nell'amore o forse nell'Amore .. ma a che serve stare a sottilizzare sulle maiuscole ! Sognava di incontrare un giorno la ragazza dei suoi sogni: perfetta, non dico fisicamente, quello non gli interessava. Perfetta per andare d'accordo con lui, anzi: d'amore e d'accordo. Così la immaginava. Poi, che fosse bionda, bruna, alta, bassa, magra, grassa, con o senza occhiali .. non faceva differenza. Anzi, era curioso di scoprire dentro quale corpo si sarebbe celata la ragazza dei suoi sogni.


Andò avanti con una certa impazienza, perché impaziente lo era un bel po', soprattutto sulle cose a cui teneva maggiormente. A sedici anni ebbe una storia con una ragazza di quattordici: all'inizio, gli sembrava di aver già raggiunto il suo obiettivo, pensava che sarebbero potuti restare insieme "per tutta la vita". Che bello sarebbe stato donarsi l'un l'altra ogni giorno, quasi come quando prendevano un gelato in due, leccandolo a turno. Anzi, meglio ! Niente avrebbe potuto scalfire la loro felicità: neanche la tintura dei capelli che lei aveva voluto provare perché era stufa di essere una "bella mora", piccola follia che lui aveva assecondato con un sorriso, pensando: "cambia, cambia pure il tuo aspetto, il mio sentimento non cambia, perché quello che io ho visto in te sta molto, molto più in profondità". Finché lei lo lasciò, non perché non lo amasse più, ma "perché voleva provare altro". Lui ci rimase molto male, anzi si ammalò davvero. Ma non rinunciò al suo sogno. Infatti dopo qualche mese guarì nel corpo e maturò nello spirito.


Qualche anno più tardi, sfiorò la felicità senza riuscire a capire se quella ragazza piuttosto bruttina e insicura avrebbe potuto essere "la sua". Travolto da eventi esterni su cui non potè influire, la perse di vista e a vent'anni "lontano dagli occhi, lontano dal cuore". Restò solo un dubbio, un rimpianto.


Passò ancora del tempo. Ormai considerava la sua solitudine una speci di prezzo da pagare per il raggiungimento, un giorno, del suo sogno dorato. Incontrò un'altra ragazza, assai particolare. Fece colpo, come al solito, senza rendersene conto. Però quella volta fu più tenace dell'avverso destino e finse, perfino, pur di andare a fondo in una storia che non voleva cominciare. Seguirono nove lunghi anni di intensa passione, ma anche di rabbia, di incomprensioni, di inutili litigi. E di tenerezze infinite, troppo grandi per non ritardare una soluzione finale fin troppo scontata. Ma era chiaro che non poteva essere lei, la donna dei suoi sogni.


Di nuovo un paio d'anni di inutilerie, di vicoli ciechi, di autostrade sorde, di capocciate nei muri, di poesie bruciate al vento, di sottili illusioni e brucianti delusioni.


All'improvviso, nella calma di una sera, nella serenità ritrovata dopo tanto aver penato, eccola: luminosa, come trasparente, brillante ma non sfacciata, sicuramente fuori del comune. Fu subito Amore, fra Romeo e Giulietta. Forse poteva sembrare che le circostanze, il destino, avessero tramato uno scenario romantico di tutto rispetto: i Navigli, quella mansarda in centro, l'estate che non voleva finire. Nei mesi e gli anni che seguirono, Giulietta e Romeo furono anche conforatati da quelle stupende difficoltà che rendono ancor più appassionante una passione già ben accesa: la lontananza, la clandestinità di lei rispetto al suo ambiente di origine. Doversi in qualche modo nascondere, e in più non essendo Romeo esattamente il tipo d'uomo che piace alle madri delle ragazze immacolate, davano al loro rapporto qualcosa di eroico, una piccola spinta trasgressiva in più.


Romeo, col passar degli anni, non aveva cambiato il suo punto di vista su Giulietta: era lei la sua Giulietta, senza ombra di dubbio.


Ma Giulietta ? Che sentimenti si agitavano in fondo al suo cuore ? Che cosa stava cambiando nella sua vita, e non solo in senso pratico, ma più nel profondo ? Stava forse scoprendo terreni nuovi, una parte di sé del tutto inesplorata ..

giovedì 4 agosto 2005

La Grammatica dei miei sentimenti

Finito giorno

di un'infinita attesa:

imperfetto indicativo

di un futuro condizionale !


Il passato è prossimo,

ma il dolore è presente.


Congiunzioni soltanto formali

compongono un periodo

di soggetti, nomi propri, pronomi

del tutto impersonali.


E coniugo i miei verbi

pensando all'infinito.

Proverbio rivisitato

"Chi non muore si rivede".


Chi non si "rivede" muore.

mercoledì 3 agosto 2005

Triste realtà

Com'è triste tornare su blog che non leggevo da tempo: trovarli incolti, quasi abbandonati, come vecchie case i cui abitanti siano stati improvvisamente spazzati via da qualche accidente del destino. Penso: magari stanno bene, come chi ha vinto la Lotteria. Magari si sono liberati di questo appiccicume di blog-mania .. loro ! E me ne torno "a casa", perplesso.

Replica

Dov'è rimasto fermo

il mio pensiero e l'alito ?

Dove non so mi addentro,

senza cambiarmi d'abito.


Sono piuttosto allergico

ai furbi metaforici,

agli esibizionisti afoni

con fini problematici.


Muovo le mie pedine

rimanendo pedina,

o forse mi nascondo

nel mio esser regina.


Non sempre la potenza

si usa per uccidere.

A volte serve forza

per ritornare a ridere.


Per ritrovarsi e vivere.

lunedì 1 agosto 2005

Via

Sei "andata via" da meno di un quarto d'ora, e già mi manchi.


So che ci sei, so che cosa provi per me: dovrebbe già bastarmi. Però un paio di giorni (e di notti) con te non sai quanto li desidero. E non pensare che sono il solito vecchio porco che vuol farsi una scopata con la ragazzina. Perché lo sai che non sono un vecchio porco. E tu non sei una ragazzina. E soprattutto non è una scopata che vorrei fare con te. Nè due, né mille.


Mi manchi fisicamente, da quando so che esisti. Non l'hai ancora capito. O forse sono io che non capisco. Forse hai ragione tu a negarti, a restare a debita distanza. Già troppe volte si è distorto e scardinato il binario del Destino, che ci voleva ignari uno dell'altra. Chi non sa, non soffre.


Mi manchi. E forse questo è proprio il senso del tuo essere per me: rappresenti l'assenza, tutto ciò che non ho avuto e non avrò.


Mi manchi e ti voglio. Mi accontenterò di qualche messaggino, di qualche e-mail. Sarò calmo e pacato, come al solito. Magari ti darò buoni consigli, ti starò a sentire, leggendo parole digitate in fretta, su fondo bianco.


Mi manchi, ti voglio e ti sento dentro di me. Hai il potere di sconvolgermi e di farmi sentire vivo, in trepidante attesa. Di te. Di tutto il tuo essere. In questa vita sono costretto a passare attraverso il corpo, i nostri due corpi. Cosa che tu rifiuti.


Tu sei più avanti di me, tu punti a un'altra vita e fai che in questa ci sia fra noi soltanto l'ombra di ciò che potrebbe esserci e non deve. Tu sei l'angelico demonio che mi tiene in pugno, eppure non mi stritola, benché potrebbe. Io sono il disperato schiavo del nulla, forte e monolitico, impotente di fronte alla tua forza. Vincitore e vinto.


Perché ti ho conosciuta, son vincitore. Scendendo in corsa dal mio treno ti ho fatta scendere dal treno che ti avrebbe portato via tangenzialmente a me. Ci sono robottini che si installano nel cuore, nella parte profonda, più segreta e perciò più amata.


Perché siamo lontani fisicamente, sono vinto e sconfitto. Non c'è soluzione, non c'è combinazione che possa riportarmi a te in questa vita mortale. Così è mortale veramente saperti là, io qua, gettarti fra le braccia di chi probabilmente ti farà felice. Non io.


Che sentimento è questo ? Dire non so. Meglio viverli, a volte, i sentimenti.