martedì 7 febbraio 2006

Una favola

L'Uomo di una certa età guardò la Donna, si scambiarono uno lampo d'intesa. Poi guardò la bambina e le chiese: "Vuoi che ti racconti una favola ?"


La bambina rispose, con la sua vocina dolce ma decisa: "Sì, certo !"


L'Uomo cominciò.



C'era una volta una Principessa, che era stata fatta prigioniera da un Mostro, che la teneva chiusa in un Castello. In realtà, il Mostro era stato un bel Principe, che però un giorno aveva fatto arrabbiare una Strega Cattiva, che lo aveva trasformato in Mostro. La nostra Principessa, dunque, trascorreva le sue giornate al Castello: usciva poco, solo per ciò che serviva a mandare avanti la vita quotidiana. Infatti, col passar del tempo, anche la servitù se ne era andata via dal Castello, cacciata dal Mostro o nauseata dalle continue vessazioni e maltrattamenti a cui era sottoposta. Così la Principessa a poco a poco si dovette occupare di tutto: dalla pulizia del Castello, alla preparazione dei pasti, perfino della salute e di un certo benessere del Mostro. Come tutte le Principesse che si rispettino, ella aveva dei Principini da allevare: per la precisione, due bei maschietti e una femminuccia. I principini crescevano in pace e armonia, studiando e dedicandosi alle loro attività preferite, fra cui la musica. Era la Principessa ad assicurare loro che potessero frequentare le scuole e i maestri adatti alle loro esigenze. Il Mostro a modo suo gli voleva bene, e non stentava certo a cercare di dimostrarlo. Ma si sa, i mostri hanno un cattivo carattere. E soprattutto fra il Mostro e la Principessa le cose non andavano affatto bene.


La Principessa era spesso triste e malinconica. Non aveva divertimenti e distrazioni: la sua gioia era dedicarsi ai suoi Principini, ma ogni tanto si ritirava nella Torre, al piano più alto, e si affacciava alla stretta finestra. Scioglieva i lunghi capelli ricci e biondi, e guardando lontano, sognava. Ascoltava le dolci note che provenivano dal piano di sotto: uno dei Principini si esercitava suonando. La mente della Principessa volava lontano, seguendo pensieri, sogni, desideri, e tutte le sue tristezze, le sue paure, gli angoli bui della sua vita sembravano rischiararsi come la pianura al sorgere del sole.


Un giorno, uno di quei giorni in cui l'aria sembra immobile e il tempo dà l'impressione di essersi fermato, o di essere volato via lontano, da quella finestra, laggiù oltre il fiume, la Principessa notò qualcosa. Era qualcuno, un Cavaliere, la cui armatura luccicava alla luce calda del tramonto. Si stava dirigendo verso il Castello.


Il Cavaliere Solitario stava come suo solito correndo dietro all'irrazionale desiderio del suo cavallo, piuttosto che inseguire una meta precisa. Era un bellissimo destriero, nero lucido, non l'avrebbe ceduto per niente al mondo. Era quasi tutto ciò che possedeva, a parte l'armatura e un gruzzoletto di monete d'oro depositate in luogo sicuro. Costeggiarono il fiume. L'aria era tiepida, nonostante la stagione invernale. Le foglie scricchiolavano sotto gli zoccoli del cavallo, che procedeva con una certa indolenza, quasi stesse seguendo un sentiero invisibile.


Il Cavaliere Solitario allungò lo sguardo e vide il Castello, che si stagliava nero e tetro sullo sfondo di un cielo così azzurro da fare invidia alle più belle pietre preziose. Gli parve persino di vedere qualcosa, come un riflesso dorato, lassù, a quella finestra della Torre.


Si avvicinarono ancora, e l'immagine divenne finalmente nitida: una deliziosa fanciulla con i biondi capelli sciolti sulle spalle stava affacciata alla finestra più alta della Torre, e guardava ... sembrava guardasse proprio verso il Cavaliere.


Con una breve corsa al galoppo, cavallo e Cavaliere si trovarono a bussare al pesante portone del Castello. Dapprima, nessuno rispose. Il Cavaliere bussò di nuovo. Si sentì rumore di catenacci, la massiccia porta fu scostata da un solo battente e, nel ristretto spazio inondato dalla luce proveniente dall'esterno, apparve ... la Principessa.


Il Cavaliere smontò dal cavallo, si tolse l'elmo, fece un profondo inchino, deponendo la sua spada ai piedi della Principessa, e disse: "Perdonate, mia Signora, il disturbo che Vi stiamo arrecando, il mio cavallo ed io. Sono il Cavaliere Solitario. Mi trovavo a passare da queste parti, quando ho notato il Vostro Castello. Il mio cavallo è stanco per il lungo peregrinare, la sera avanza, e per questo ho l'ardire di chiedervi, se la bontà Vostra vorrà concedercelo, asilo per la mia cavalcatura e per me stesso, soltanto per una notte. Una stalla basterà al mio destriero, mentre io sono ben avvezzo a passare la notte su un mucchio di paglia.


La Principessa sorrise, nascondendo un imporvviso rossore, e rispose: "Mio Cavaliere, siate il benvenuto. Voi e la vostra creatura sarete accolti con tutti gli onori, se vi accontenterete di quello che trovate. La stalla ormai da tempo è vuota, ma un po' di fieno e di paglia vi è sicuramente rimasto. Per quanto riguarda Voi, potrete accomodarvi in una delle tante stanze vuote del mio Castello. E spero vorrete onorarci della Vostra presenza per la cena che sto per servire in tavola personalmente".


Cenarono tutti insieme: la Principessa, il Mostro, il Cavaliere Solitario, i Principini. Non ci fu una gran conversazione, se si esclude la naturale curiosità dei Principini verso il Cavaliere e le sue avventure, e qualche incomprensibile intervento del Mostro. La Principessa ascoltava.


Arrivò il momento di andare a dormire: i Principini non volevano saperne, ma la Principessa fu molto ferma nel riuscire alla fine a convincerli, anche perché il Cavaliere promise loro di racontare altre delle sue avventure l'indomani. La Principessa accompagnò il Cavaliere verso una delle stanze fredde e vuote del Castello. Il Mostro rimase seduto alla tavola.


Il Cavaliere baciò la mano alla Principessa e disse: "O mia deliziosa, adorata Signora, vorrei che questo minuto durasse tutta la vita, e non mi basterebbe tutta la vita per farvi sentire che cosa provo per Voi: sono venuto qui spinto dal Destino, e ora vorrei avere il tempo per impararVi a memoria, perché so che prima di domani dovrò lasciarVi e non Vi rivedrò mai più. Ma voglio che sappiate che nessun'altra potrà prendere il Vostro posto nel mio cuore, nessuna voce udrò più melodiosa e cara della Vostra, nessuna modestia né grandezza d'animo mi colpirà di altra donna, perché in questo momento io sono l'Uomo e Voi la Donna, unici nell'Universo che tutto unisce dopo aver diviso".


La favola non dice che cosa accadde la mattina dopo ... se mai ci fu una mattina dopo !


L'Uomo sollevò lo sguardo, mentre la Donna cercava di nascondere le lacrime che calde le scendevano sulle guance. La bambina li riportò entrambi alla realtà: "Bella favola ! Quando me ne racconti un'altra ?"


"Quando avrò finito di imparare a memoria tua madre, o meglio, nel frattempo".