giovedì 6 aprile 2006

Il Cavaliere Solitario e la Corona d'oro

Il Cavaliere Solitario avanzava sul suo destriero al trotto lungo il fiume. La luce tagliente del mattino lo accompagnava filtrando fra il fogliame della vegetazione che cresceva spontanea sulla sponda. Non guardava vicino, né lontano il Cavaliere. Sembrava assorto nei suoi pensieri. Invece era prigioniero di un sentimento di profonda delusione. Ma come suo solito non lo dava a vedere, anche se lì intorno non c'era nessuno che potesse vedere. Certe sensazioni le nascondeva perfino a sé stesso: non per ipocrisia, ma per pudore. Spogliarsi l'anima o il corpo, anche in assenza di occhi che potessero vedere e quindi giudicare, era un gesto estremo per lui.


Fece ancora qualche passo, poi scese da cavallo e continuò a piedi. Fissava la superficie scintillante dell'acqua del fiume, che scorreva nella sua stessa direzione. In realtà, non stava andando in nessuna direzione, non aveva una meta precisa. Lasciava scorrere i suoi pensieri, così come un prigioniero esplora le pareti della cella cercando una possibile via di fuga. Ma per ora non aveva trovato nessuna via di fuga.


Gli tornò in mente quella corona. L'aveva fatta forgiare da quel suo amico artigiano, col metallo che aveva messo da parte durante le sue scorribande: oro zecchino, argento, un po' di platino, qualche pietra preziosa. Il suo amico ne aveva fatto un piccolo gioiello, degno dei migliori sovrani da lui conosciuti. Con quella corona era capitato in quel Castello, dove la Castellana dai lunghi capelli dorati lo aveva stregato col suo fascino dolce e misterioso. Non ripercorse tutta la storia, ma ricordò soltanto il momento in cui aveva offerto la corona alla Castellana, chiamandola "Regina". Anche se lui sapeva bene di non essere un Re, per lui lei era la sua Regina. La più importante. La più splendente. Lei. Per un po' gli era sembrato che la Castellana gradisse quella condizione, quel ruolo, gli sembrò che lei fosse entrata volentieri nel personaggio di quella favola.


Il cielo si fece più scuro. Non riusciva a farsi una ragione del perché di quel gesto, quando lei prese la corona, si avvicinò alla finestra e lanciò la corona fuori del castello, verso il fiume. Lui vide la corona cadere seguendo una perfetta parabola, illuminata dai raggi del sole, fino al momento in cui la vide inabissarsi nella corrente del fiume, laggiù nella valle.


Aveva tentato di chiedere ragione alla Castellana per quel suo gesto, senza risultato. Allora aveva preso il cavallo ed era uscito dal castello, forse per sempre.


Immaginò di essere un uomo moderno, del ventunesimo secolo. Si vide camminare in discesa lungo un anonimo marciapiede di una strada trafficata di una moderna metropoli. Quel cassonetto era lì, come ogni mattina. Un cassonetto qualsiasi, di plastica verde, di quelli in cui gli abitanti di una metropoli del ventunesimo secolo buttano i sacchetti della spazzatura. Nella borsa, oltre al computer portatile e alle scartoffie del lavoro, aveva quel libro, che aveva gelosamente custodito e nascosto in attesa di poterlo portare a ... Era impacchettato in una carta rossa, da regalo. Il libraio ci aveva messo anche un fiocchettino dorato, fissato con un adesivo luccicante. In un istante, estrasse il pacchetto col libro dalla borsa e lo gettò nel cassonetto. Richiuse la borsa e continuò a camminare a passo svelto. Il cuore gli batteva forte.


Il Cavaliere rimontò a cavallo e si lanciò al galoppo incontro al sole che si alzava. La Castellana, affacciata ad una finestra del castello, lo vide sparire all'orizzonte in una nuvola di polvere.