lunedì 3 luglio 2006

Mai sazio

Non è mai sazio il mio andare: procedo fra rovi e spine invisibili, graffi sulla mia pelle che di serpente non ha la scorza, ma vulnerabile si volge, e sanguina. E di gengive rosse, e del sapore ferruginoso di denti stretti giorno e notte mi nutro. La testa sempre alta, in avanti, a cercare l'impatto coi muri di fango e pietra, coi muri di cemento, con le impossibili chimere senza tempo.

Non è mai stanco il mio piede, e la gamba che lo spinge, e i chilometri a macinare stelle e raggi di sole all'improvviso, ed orizzonti, e mare. Ancora non si sa, ancora andare.

Un sorriso mi ferma, una carezza innocente di bimba, solo per un istante. Distante è la tenerezza, sognata e poco o niente avuta o data.

Un grido di gabbiano, un volo d'aquila, di mare e montagna uniscono il ricordo, di gallerie, di corse sulla spiaggia, di provvidi tramonti colorati, di brezze respirate, solo, ad abbracciar me stesso.

Un dolore, o forse un desiderio, come una sciatica del cuore, da portarsi dentro, e non lo so come si vive, e non ho voglia di impararlo adesso.

Dieci anni per volta, volano e non tornano: dieci, vent'anni fa', trent'anni, ed oltre. Stende la coltre di polvere il passaggio. Sbiadiscono i volti, le emozioni restano.

Egoistico pegno di un prestito mai restituito.