giovedì 3 agosto 2006

Memorie

Quando ero ragazzo i telefoni erano brutti, e neri, e avevano un disco con 10 buchi numerati da 0 a 9 che dovevi far girare col dito, e avevano un filo che finiva dentro al muro, in una borchia nera, e la cornetta era nera anch'essa, e pesante, e aveva due "cosi" che si potevano svitare e saltava fuori una pasticcona metallica piena di carbone nero. La suoneria faceva solo "driiiinn". Il segnale di "libero" era: "tu-tuuuu" e occupato faceva "tu-tu-tu-tu". E la teleselezione (telefonare "col prefisso") era un lusso di pochi.


Marco ed io, dopo pranzo, stavamo al telefono per ore (costava 1 solo "scatto" !) a raccontarci le cose di scuola, a spiegarci i compiti e tutto il resto. Quando eravamo stufi, ci davamo appuntamento da me, al capolinea dell'81 o sotto casa sua e attraversavamo Roma a piedi. In centro c'erano tante macchine, almeno così ci sembrava. Il gelato da Giolitti era buono, anche se un po' caro. Passando a Fontana di Trevi bevevamo un po' d'acqua, immersi fra i turisti americani: di giapponesi nemmeno l'ombra. I borseggiatori intorno alla Stazione erano tutti italiani, e non correvamo il rischio di incontrare spacciatori. La pizza a taglio si comprava in una rosticceria vicino a Piazza Vittorio, e poi facevamo quello scherzo stupido di fermarci in due o tre a guardare verso un punto di un cornicione, indicando con la mano e aspettando che si radunasse una piccola folla di curiosi: poi andavamo via e ripassavamo dopo un'oretta, trovando ancora qualcuno che discuteva cercando di capire da quale piano si sarebbe buttato il suicida.


Avevamo la tessera del tram (gratis per gli studenti, per una linea) e coprendo un numero, con la tessera del 38 prendevamo anche il 3 e l'8 (Marco). Io con quella del 14 prendevo anche il 4.


Le case erano quasi tutte in affitto, e spesso dovevamo cambiare casa perché l'affitto era diventato troppo alto. Siccome la nostra casa era piccola, io dormivo nel tinello, però il letto era dal verso sbagliato e il comodino era da piedi. La mattina dalla finestra filtrava il sole e mi svegliavo senza l'odioso suono della sveglia. I miei pelouches tutti spelacchiati mi facevano la guardia dalle mensoline: la scimmietta Tyco, l'orsetta Bubba e poi non ricordo gli altri nomi, ma le facce sì.


Quando arrivava giugno ero triste perché l'estate rimanevo più solo del normale, finita la scuola. Andavo nel giardinetto condominiale a veder correre le formiche da una buca all'altra. A volte ne schiacciavo alcune, e poi pensavo: io per loro sono come le catastrofi naturali immense e imprevedibili. Io sono dio e loro forse mi temono.


A settembre guardavo dal balcone due cani che si rincorrevano e poi montavano uno sopra l'altro: sempre lo stesso sopra l'altro, poi quel cane si agitava ritmicamente e alla fine arrivava mia madre a chiamarmi che era pronta la cena.


Di notte facevo un sacco di sogni, a volte incubi, qualcuno ricorrente: fuga in ascensore, che poi si trasformava in trenino e correva sui palazzi. Altre volte invece mi alzavo da terra come fanno nei cartoni animati e volteggiavo a mezz'aria a gran velocità. Diverse volte sono caduto dal letto: meno male che era basso.


Anche allora avevo paura della morte, ma poi pensavo: se mi va bene, verrà fra tanto tempo, ci penserò quando sarà il momento. E tornavo a fare il ragazzo. Del buio invece non ho mai smesso di avere paura: la situazione peggiore è un garage solitario di notte, con la luce a tempo, che improvvisamente si spegne. Dev'essere come la morte.