giovedì 31 maggio 2007

Fine

But you gave away the things
you loved and one of them was me!
I had some dreams they were
clouds in my coffee!
(You are so vain - Carly Simon)

Quando eri il mio sogno, il mio "colpo di fulmine", la mia principessa. E vedevo billarti negli occhi sogno e avventura.

Quando ti chiedevo che cosa pensavi di me. È importante per me sapere come mi vedono gli altri, soprattutto quelli che potrebbero non mentirmi.

Quando cominciavo a parlarti di com'ero dentro. Fossi riuscito una volta a finire il discorso: tre parole e tu volavi via, lontano.

Quando strappavo le note del cuore fra le corde della chitarra. C'era sempre un'aspirapolvere più importante di tutte le mie malinconie.

Quando io ne volevo zero e tu sei. Abbiamo fatto la media aritmetica: tre.

Quando ero ancora sincero sincero. E tu già mi mentivi, senza volerlo.

Quando poi quella volta ero felice, oh sì stupidamente felice, ma proprio così semplicemente felice perché tu eri venuta a trovarmi. E tu mi dicesti che eri stata con lui.

Proprio allora, forse. Non ero più il primo, né l'unico.

Fine.

mercoledì 30 maggio 2007

Indossami

L'odore del tempo
passato con te
m'inebria la mente
d'immagini, suoni,
rumori lontani,
respiri vicini,
emozioni.

La vita impaziente
rincorre speranze
in attesa
sul terzo binario
di un treno
un po' stanco
ma pieno di voglia
di correre ancora.

Respirami, indossami,
toglimi il fiato
e poi stendimi
dritto sul prato
dei tuoi quadrifogli,
pungendomi d'erica
senza ritorno
in un giorno
di mille millenni
con te.

lunedì 28 maggio 2007

L'eco

due cuori in attesa
sul bordo di parole
gettano un sasso nel lago

i cerchi concentrici
si allargano lenti
sospinti dal vento

due cuori sospesi
su abissi di parole
gettano un grido

l'eco risponde
"ti amo" risponde
"ti amo" ...

venerdì 25 maggio 2007

Last Minute Love

Senza prenotazione
trovo la porta aperta:
una trepida voce m'invita,
mi lascio incantare.

C'è posto nel cuore:
un angolo chiaro
calore che prende la mano,
volare lontano.

Sorpresa di un Bed and Breakfast
dolce come un Last Minute Love.

giovedì 24 maggio 2007

Noi dentro

Non avrò dita che per la tua pelle,

e mani sulla schiena a raccontarti

tutta la strada fatta per trovare te.


Non avrò occhi, bocca, non presterò le orecchie

a niente che non mi parli del tuo amore:

dei passi tuoi risuona ora il mio essere.


Forte come la fiamma d'un incendio,

tenero come un tramonto rosso all'orizzonte

sarò come tu vuoi, come io voglio che tu voglia.


Apriremo le porte che da tempo aspettano

i nostri sguardi di speranza colmi,

e chiuderemo tutto il mondo. Fuori.

Giochi di lingua

Un tempo ero palindromo:

andavo avanti e indietro

su me stesso.



Dopo mi sono sciolto

nell'abbraccio con lei

antisimmetrico,



nei mille dolci intrecci

che nascono agli amanti

sulla lingua.

mercoledì 23 maggio 2007

Non chiedermi perché

E non chiedermi perché non parlo. Tutti i miei errori passati, tutti quei treni persi e mai più ritrovati, tutta la delusione del primo appuntamento quando si trasforma in ultimo, unico.


Non si ripete l'emozione di sentirsi amati. Non dura più del fuoco di un cerino acceso per una sigaretta povera, senza fuoco né accendino. Brucia e si spegne. Non sembra vero che mi abbia detto: "ci vediamo". Succede come un lampo. La sfortuna, la sorte, l'ansia o le tenebre scivolose del vuoto che riprendono il sopravvento. Come svegliarsi da un sogno. Un bellissimo sogno. Sapendo che è stato vero.


Sentirsi come un bambino che riceve il più bel giocattolo, quello desiderato, e lo adora, lo rigira fra le mani incredulo. E un attimo dopo qualcosa o qualcuno ... il bel giocattolo è sparito. Angoscia. Privazione. Rabbia. Rifugio nell'ineluttabile destino, rifiuto di provarci ancora, dolore curato da sé, concentrandosi su quello che rimane.


E non rimane altro che un'immagine mentale, sentimenti forti, emozioni da ricordare. Ogni volta si riapre la ferita e sanguina. Ma non lo sa nessuno, o forse nessuno vuol vedere, sapere: nessuno vuol sentirsi raccontare questa storia.


Come in una tragedia greca, cercare di evitare il destino ci getta fra le braccia di quell'esatto destino.


Aprimi gli occhi da quest'incubo, stavolta. Abbracciami forte e non lasciarmi fuggire via. Se ci riesci, ti amerò, anche di più di come ti sto amando ora.

lunedì 21 maggio 2007

Che cosa guardi ?

"Che cosa guardi ?"


Guardo i tuoi occhi verdi

profondi in cui mi perdo

-- e mi ritrovo.


"Che cosa guardi ?"


Guardo natura intorno

e sento il senso di te

-- di terra silenziosa.


"Che cosa guardi ?"


Guardo lassù nel cielo

pioggia di blu e di pioppi

-- miracolo dei sogni.


"Che cosa guardi ?"


Guardo forse il futuro,

forse il passato

-- amore nel presente.

sabato 19 maggio 2007

Sala d'attesa

"Aspettare non è il mio forte" pensava, mentre era seduto da oltre due ora in quella "sala d'attesa", davanti a quella porta da cui gli avrebbero annunciato l'esito dell'operazione di Alessandro. Due ore o due settimane. O forse due vite. Una era la sua, quella che avrebbe voluto vivere, coi suoi entusiasmi, le sue fantasie, le sue illusioni forse, ma senza batoste e senza delusioni. L'altra ... meglio lasciar perdere.

Guardò per l'ennesima volta la porta, che non si apriva. Si alzò da quella sedia, come aveva fatto già mille volte, durante quel tempo dell'attesa. Sentiva una smania dentro, come un bruciore nelle vene, che gli chiedeva come e perché ora, ma proprio ora, non poteva essere dove avrebbe voluto, con chi avrebbe voluto. Si avvicinò alla finestra. Fuori il cielo azzurro era attraversato da nuvoloni bianchi e grigi, che parevano correre, affrettarsi verso chissà quale impegno lontano. Pensò ancora ad Alessandro, alla sua operazione, che, per quanto semplice, avrebbe potuto improvvisamente presentare qualche complicazione. E poi l'anestesia.

Il cortile su cui affacciava la finestra lasciava scoperto un angolo di cielo, quello in cui correvano i nuvoloni, ma il resto era occupato dalle squallide facciate delle altre sezioni dell'ospedale: finestre che si aprivano come occhi fissi, paralizzati dallo stupore o dalla noia per dover frequentare ogni giorno lo stesso dolore, gli stessi lamenti, le stesse inutili speranze. Altre sale d'attesa, forse, in cui si stavano consumando altre insofferenti aspettative di notizie, ansia di verità spicciole, senza pretese, se non quella di sapere che il momento critico era stato superato.

Riprese a vagare con la mente, uscì in quel cortile, volò su nel cielo nuvoloso come i suoi pensieri, e sentì ancora quella fitta, quel dolore proprio lì, in mezzo alla fantasia, là dove galoppavano le sue speranze, il pazzo dolce mondo intimo e privato dei suoi sogni più veri.

Non sapeva lottare contro il tempo. E non sapeva se il tempo, almeno quella volta, sarebbe stato suo alleato o, come sempre, suo nemico.

Si voltò, interrogando ancora quella porta, che rimase chiusa.

Piena di porte chiuse gli sembrava ora la sua esistenza, spesa quasi tutta dentro squallide sale d'attesa del cuore, sognando entusiasmanti spicchi di futuro che solo la sua smisurata fantasia riusciva a colorare come fossero veri.

Piena di porte aperte quando ormai. Quel senso del "troppo tardi" lo fregava, lasciandolo lì pieno di rimpianti per non aver potuto, per non aver avuto l'occasione neanche di un rimorso. Poter essere sé, finalmente agire a rischio di sbagliare e di pentirsi: questo sentiva essergli stato negato.

Ma forse questa volta no.

Avrebbe atteso che la porta si aprisse. Decise di aspettare: sarebbe arrivato il suo momento. Sperava ancora che non fosse, come al solito, troppo tardi per qualsiasi cosa.

Si rimise a sedere, davanti a quella porta. Chiusa.

mercoledì 16 maggio 2007

La clessidra orizzontale

Quando ero ragazzino, durante quei noiosi pomeriggi di domenica in cui non si "doveva" andare da qualche parte, mi piaceva giochicchiare con piccoli oggetti, giocattoli inventati necessariamente dalla mia fantasia di bambino "povero".

Avevo trovato una piccola clessidra abbandonata in qualche cassetto, ed era subito entrata nella famiglia dei miei passatempi del tempo noioso.

La sabbia contenuta all'interno era di un colore rosa improbabile, forse per dare l'idea di una presunta leggerezza nel tempo che passa. La mia clessidra misurava 5 minuti ad ogni giravolta: magari era una clessidra da cucina (pensavo), di quelle che si usavano una volta per cuocere le uova.

Quel pomeriggio trovai un nuovo gioco da fare con la clessidra: ero stanco di contare i granelli mentre passavano nel suo collo stretto; perdevo sempre il conto a metà strada.

Misi le ampolle in orizzontale: in quel modo (pensavo) il tempo si sarebbe fermato. Poi vidi che non era facile mantenerle così, se tutta la sabbia si trovava in una sola delle due ampolle, così cercai di "fermare il tempo" quando la clessidra era a metà del suo ordinario lavoro, quando cioè metà della sabbia era scesa nell'altra ampolla.

Da allora in poi, il gioco diventò "trova il momento esatto in cui nelle due ampolle c'è lo stesso numero di granelli di sabbia".

Pare facile ! Provavo e riprovavo, ma ogni volta una delle due ampolle era più piena dell'altra.

Continuando in questo gioco solitario, alla fine riuscii a trovare un punto in cui la clessidra poteva essere messa in equilibrio orizzontale: la differenza di riempimento era così piccola che l'attrito del perno riusciva a compiere la magia.

Cercai di contare i secondi del tempo che avevo "fermato".

Mentre ero assorto in questo gioco, un colpo di vento entrò ad alterare quel sottile magico equilibrio e ...

La gioia è fatta di attimi, che devono essere colti nel momento in cui ne viviamo la grazia. E valgono più di tutto il noioso, terribile, odioso tempo restante.

lunedì 14 maggio 2007

Plagio d'inizio

Amor che muove il sole e le altre stelle

di te mi parla e il cuore mi riscalda.


Il verde delle tue pupille belle

m'ispira versi e sogni e altre novelle.

sabato 12 maggio 2007

Interrogando il cielo

Avrò sognato, sì,
ma di quei sogni belli
che al sole non svaniscono.

Avrò dentro i miei occhi
il sole, i pioppi, la danza di quegli alberi,
e l'erba e te distesa e splendida.

E d'improvviso tu, che mi misuri i battiti
del cuore che danzando vuole
donarti un po' della sua gioia e della mia.

Essenze d'infinito noi,
che come fiori alziamo i nostri sguardi
interrogando il cielo.

mercoledì 9 maggio 2007

Passione in Q

Ebbene sì: lo confesso, sei la mia passione. Quando nacqui forse non sapevo ancora che lo saresti diventata, un giorno. O forse sì. Con quella saggezza tipica dei bambini e degli angeli, che magari dovrei chiamare "premonizione", scelsi luogo e tempo, scelsi la famiglia in cui sarei nato. Oppure fui scelto. Ma no, che dico, avvenne tutto "per caso". In ogni modo, per diversi anni, rimanesti celata nel grande vaso delle possibilità: avrei potuto ammalarmi e morire (erano ancora anni in cui le malattie infettive mietevano vittime fra i bambini più deboli), avrei potuto essere trascinato verso ben altre realtà da eventi improvvisi, cataclismi, traslochi ... Ah, quanti ne vidi, di traslochi, fin dalla più tenera infanzia: nato a casa di mia nonna materna, ben presto fui "trasportato" nella grande casa dell'altra nonna, dove i miei abitavano. Poi altre case, altre cucine con altri odori, altri tinelli (così si chiamavano allora i "soggiorni" senza pretese, a casa della gente con pochi quattrini) videro crescere la mia voglia di osservare il mondo, di capire, di compensare la perdita di quel "manuale d'istruzioni" che allora credevo dovesse accompagnare ogni nascita, ogni nuovo individuo che veniva così brutalmente introdotto in quel folle manicomio chiamato "esistenza".


A scuola ero bravo. Mi sembrava l'unica "moneta" con cui ripagare i sacrifici dei miei, o almeno così mi era stato insegnato, e ci credevo. Avevo però una certa difficoltà a scrivere componimenti "lunghi", che andassero al di là di un paio di facciate di foglio di quaderno: una specie di riluttanza. Non che mi mancassero le parole, ma restavano dentro di me, come congelate, represse. L'insegnante diceva a mia madre: "Non si preoccupi, è un maschietto. Si sa che hanno minore propensione alla scrittura". E io restai colpito da quella parola: "propensione". Pensavo che fosse una specie di anticipo della pensione. Pensavo che diventando vecchio avrei scritto di più. Non chiesi spiegazioni, e non ne ottenni. Cercai piuttosto di capire dove era andata a finire la mia "propensione", quali fossero le materie scolastiche che già allora potevano vantare un mio maggiore impegno, ma anche una maggiore riuscita. Pensavo, ora come allora, che è abbastanza inutile darsi da fare in aree senza attrattiva e con poco (per me) significato. Ancora non sapevo che tutto questo si chiama "motivazione": la molla dell'interesse. Perché mi guardi con quell'aria interrogativa ? Ti stai chiedendo: "Quale" o "Quando" oppure "Quanto" ? Magari oscilli nelle tue risposte fra "Questo" e "Quello", ma certamente avrai anche tu imparato che "Cuore" non si scrive con la "Q". E che a volte bisogna farsi un "culo a quadretti", e non un "qulo". E che l'unica parola italiana con due "q" consecutive è "soqquadro".


Questo mi porta fuori strada ! Che ne sarà di tutto quel discorso che avevo in mente, chiarissimo all'inizio, e che si va facendo via via più fumoso man mano che procedo a definirlo. Già, le definizioni. Fanno parte integrante di te, e sono molto importanti per me. Da bravo miope, naturalmente riesco a veder "definiti" solo gli oggetti più vicini: tutto il resto sfuma, come in una nebbia, ovatta protettiva dai pericoli distanti. Che vuoi che sia la vita, se non: riuscire ad evitare pericoli mortali, andando a modificare probabilità e statistiche che vedono quelli come me sconfitti da un accidente qualsiasi, scampati alla crudele pratica della Rupe Tarpea e dati in pasto ad una realtà per certi versi più crudele ancora. Studiate geometrie disegnano ardite traiettorie di un essere che in volo non vorrebbe più atterrare. Proiezioni ortogonali di anima e desiderio, sospese fra un passato troppo frettolosamente andato via e un futuro che si avventa come l'aria fra le narici di un'aquila in picchiata.


Relatività del tempo: velocissimo quando sto bene, lento a passare nella noia, intriso di mancate occasioni, di aspri rimpianti, quasi immune dai rimorsi che ai vili abbondano. Spazio-tempo: dimensioni forse equivalenti, perché tempo ne ho speso a superare spazi che sembravano insormontabili, e spazio ne ho percorso cercando di azzerare il tempo ormai trascorso. Particelle di un discorso iniziato quando. Non ricordo. Memoria, giudice impietoso di un fare a volte troppo tumultuoso. Ologrammi di vita, tridimensionale, da non riuscire a fuggire, a cancellare. Errori a tutto schermo, avanti e dietro, sopra e sotto, come quando sento nell'anima piovermi a dirotto. E vorrei, ma non posso, cambiare il tempo, e ciò che dentro al tempo mio all'inferno mi condanna.


Causa-effetto: la logica stringente di questa realtà mi inchioda alle mie responsabilità. Fuggire è un po' morire. Ogni volta pago in moneta dorata per espiare una cazzata. Altrove andare, ma da che, visto che altrove altri tempi e altri errori non aspettano altro che me. Sillogismi di quel ragionamento che mostra e non dimostra, assiomi assurdi, irrinunciabili e crudeli. Domani diventati ieri.


Passione mia, rovello e sazietà di un'anima incapace di rendersi conto del mondo. Autismo comportamentale, facile asilo di una mente che vale. Il risultato poi qual è ? Felice o assai infelice, resto allo specchio e non mi riconosco, mi perdo e mi ritrovo, ma non miglioro. Passione mia del tutto approssimativa, scienza e coscienza che mi fai dire: cambierò il tuo nome, ché troppo esatta non ti vidi mai, incapace di risolvere i miei guai, eppur compagna fedele mi fosti in questa vita. Altri "Matematica" ti chiamano, io ti rinomino invece "Quasi-matica", il che ti rende alquanto più simpatica.


Termina qui la mia passione in "Q".