lunedì 29 dicembre 2008

Negativo, Roger !

Non c'è niente che valga l'appena,

misterioso atomico tempo

che svanisce nell'acqua pesante.


Una ruga, una crepa del vento

porta un'eco d'istante distante

mentre muto là mento in lamento.


Sotto sotto c'è sempre la sabbia

e una sola ne resta di magma,

alternando eruzioni a erosioni.


Getto l'ancora ancora e mi fermo,

pongo pongo in plastica posa:

ricreazione, intervallo e qui cesso.


Di cammelli e di crune del lago

non c'e traccia nel vecchio ellepì

della band ana-illogica e country.


Tiri tiri, ma io mi ritiro,

me ne vado, mi faccio da parte,

non avendo né arte né carte.

domenica 28 dicembre 2008

Elegia della Domenica pomeriggio

Nella calma della Domenica pomeriggio

tutto rimane bigio e grigio.


Rari uccelli si alzano

nell'aria fredda a cercare

ciò che non trovano.


Verdi foglie ostinate

nella ruggine generale

geneticamente mortificata.


L'asfalto si chiede perché:

nessuna ruota risponde.


Bave di vento

ai quattro formaggi

asciugano

la muffa in crosta.

sabato 27 dicembre 2008

Conchiglie

Mi piace del corpo

toccare la pelle

seguirne le curve

o le rughe,

sentirne il calore

il freddo sotto le dita,

afferrare la carne,

segnare le ossa, le vene

che tengono insieme

l'oscura presenza di vita:

scoprire l'interno

restando qua fuori, vicino,

che siamo conchiglie

in balia delle onde

chiamate destino.

lunedì 22 dicembre 2008

M&m's

Mandorle e mandarini

restano nel naso a far da testimoni

di un tempo andato troppo in fretta,

del nulla stemperato

nel mar di nostalgia

che mai fu vera, che nel ricordo

aspetta a farsi bella

di specchi deformanti figlia

nell'anima strazianti.

Buco nero

Quei pensieri che passano in testa e sembrano lampi nel gran temporale della mente: basta lasciar correre un'ora senza fissarli e già sono persi nel nulla, per sempre.

domenica 14 dicembre 2008

Tu

Senza tempo

per vivere rinchiusa

fra mura assai domestiche

rincorri sogni

fantastiche chimere

e le copri di rabbia

nell'oggi che non si fa domani

e nei tuoi occhi abbassi

la guardia dell'essere

in attesa di tregua

o almeno

di uno sciopero

degli affanni.

Il Baco e la Donna Ragno

Anche le forme di vita inferiore provano sentimenti. Provano: non sempre ci riescono.



Il Baco.


Ma certo: si annuvola

e resto nel bozzolo

a farmi prigione di seta.



La Donna Ragno.


Mi tesso la tela

aspetto la mosca

che venga a nutrirmi.

lunedì 8 dicembre 2008

Avvelenata

Tanto nessuno mi legge lo stesso. Tanto, non avrò Editori e Gloria ad osannarmi, sopra un Palco. Dovessi salirci, sarebbe forse per essere ghigliottinato, come nei tempi in cui questo non avveniva nelle pagine di Cronaca dei Giornali, ma nella Pubblica Piazza.


Tanto non scriverò versi ad effetto, parole sgradevoli che lasciano ferite o fanno resuscitare Vecchi Fantasmi. Non ho bisogno di colpire, mi basto da me. Non mi serve un Pubblico che si senta inadeguato. Cerco chi possa condividere sentimenti e pensieri, sogni e speranze, ragionamenti e convinzioni politiche.


Tanto non sono un poeta, né piccolo, né sommo. Tantomeno postmoderno. Ogni Modernità ne seppellisce un'altra, ogni Avanguardia viene prima o poi sorpassata da una nuova Avanguardia, e marcisce.


Dico ciò che ho dentro, se mi va, quando mi va, e con le parole che preferisco. Lo stile è soltanto aria fritta.

venerdì 28 novembre 2008

Con gesti lenti e smisurato Amore

(a mia madre)




Sai, se allora avessi speso meno tempo

a correr dietro a quelle mie illusioni

lucide stelle che stracciavamo al cuore

della mia giovinezza e gl'ideali persi,

non avrei forse ora questo bieco senso

del tempo ch'è sfuggito chissà dove

lasciando dietro sé pallide tracce

come d'inverno si ricorda il sole.


Sai, se fossi stato un po' tradizionale

un po' represso come mi volevi

non avrei forse perduto tanti treni

chiamati desideri di pensieri

e di felicità rimpianti

non realizzate, forse o forse mai:

le stupide carezze più non date o avute

lo sguardo dolce tuo, quel tuo sorriso

che mi indicò del sogno la potenza

per volare più alto d'ogni mia miseria.


Sai che ti ho amato un po', mentre t'odiavo

come ogni figlio ama e odia e ama

chi ritiene colpevole di questa cosa grande

d'essere al mondo e non sapere come

d'essere vivo e non saper perché,

privo di quel libretto d'istruzioni

che la mente non legge ma vorrebbe assai

dipanando i suoi dubbi e tutti i suoi misteri

da un giorno all'altro e infine poi non più.


Sai che di uguale colpa son colpevole

per aver messo al mondo quelle nuove vite

che ora mi guardano cercando in me salvezza

o almeno un senso di quel loro andare,

stare, sentir, parlare, arrabbiarsi, amare

che li fa parte del mondo e mondo a parte

ognuno col suo viaggio e il suo fardello,

unico e solo però compagno al suo fratello.


Che cosa vorrei dirti ora non so,

di cosa mai potremmo noi parlare

se fossi qui col peso dei tuoi anni

a ricordarmi che prima di me

passasti tu nel tempo degli affanni,

della salute incerta, dei dolori

che ti fecero consumar la vita e gli anni

e partire per dove non si danno

i problemi dei vivi e il nostro mondo.


Ti ricordo così, dentro il mio cuore

negli anni belli che furono

e pur nei tempi tristi,

nelle avventure infinite,

nelle tue paure per me

che fui parte di te così diverso

con gesti lenti e smisurato Amore.

mercoledì 26 novembre 2008

Tradito dal sole a Novembre


Il sole era fuori ad attendermi

così mi affidai alla sua luce

segreto nei passi e lento pensiero.


Un volo di nuvole grigie

ritrasse ogni ombra da terra

lo schiaffo del il vento improvviso.


Rancore nei brividi lungo silenzi

la fuga dell'anima dentro rifugi

tradito dal sole a Novembre.

domenica 16 novembre 2008

13

Fior di cristallo fragile e forte,

tredici petali contano gli anni.


Oggi quattordici dolci farfalle

sulla tua fronte piano si posano:

fior di cristallo fragile e bello.

sabato 15 novembre 2008

Usto

Piove sul giusto e sull'ingiusto,

piove in quel luogo angusto,

piove sull'arbusto

cresciuto con dubbio gusto,

piove sul suo esile fusto.


Piove in un mondo vetusto,

piove nel giardino di Augusto

piove sopra quel busto

piove nell'arsizio incombusto.


Piove e non mi frusto.

martedì 11 novembre 2008

Rette parallele

Solo l'infinito sa

del nostro incontro,

di quel nostro

sorriderci contro.


E l'infinito aspetta,

aspetterà all'infinito

che il parallelismo

della ragione ceda

alle ragioni dell'amore.


E quella foto che voleva

fermarci in un attimo

aspetterà un altro attimo,

un sospiro non espresso

come quel caffè bollente

come l'aria di terra e di mare

come lasciarsi andare.


Solo l'infinito sa

misurare le distanze

di quel nostro

calamitarci dentro.

domenica 9 novembre 2008

Coperta

Resto nel mio tramonto

come sospeso

fra le cime degli alberi ed il cielo

senza aspettar la notte

col sorriso di un bimbo

a farmi da coperta.

venerdì 7 novembre 2008

Scusami

Sono a casa dopo una delle mie solite giornate. Mi sento stanco, ma non fisicamente. Stanco di questo niente, di questa strada in salita che non porta da nessuna parte e non dà niente. Scusami. Forse eri a cena ...


Da qualche parte nel mondo, qualcuno mi scrive "ti amo", più volte al giorno. Scusami se non ti rispondo con le stesse esatte parole.


Niente dà niente, ma ognuno di noi dà a qualcuno. Scusami, spengo il bluetooth. Le microonde mi cuociono il cranio. Non che ci sia qualcosa rimasto, là dentro. L'eco di quello che c'era una volta.


Scusami. Continuo a ripeterlo, come se fosse un motivo, una scusa. Vorrei andare avanti, almeno di un passo. E invece passo giornate e giornate aspettando. Godot non arriva. Non so, non ricordo nemmeno che cosa voleva, che cosa volevo.


Scusami. Scrivo le solite cose, usando un linguaggio retrivo. Non sono "abbronzato", né giovane e bello, non sono un grande scrittore affermato. Non parlo come uno di quei poeti cosiddetti, che piacciono tanto agli addetti.


Sono molto testardo, lo sai, e scusami se a questo punto chiudo con una frase che adoro, a tutti e a nessuno diretta: "baciatemi il culo !".

domenica 2 novembre 2008

Falce di luna crescente

Stava lì,

appoggiata alle nuvole,

con quella stellina

che le teneva il posto.

venerdì 31 ottobre 2008

Moby Dick

Il mare è calmo stanotte: guardo riflesse nell'acqua mille piccole stelle e il bagliore più grande. Nulla è perfettamente geometrico, qua. O forse obbedisce a leggi di un'altra geometria, apparentemente mutevole, come quella del cuore. La mente, volendo rincorrere i dettagli, spesso perde l'essenziale. Il cuore può essere confuso, a volte, offuscato, ma quando vede chiaramente, sa.


Non dovrei starmene qui fra queste onde, stanotte no. Lontano, una striscia di terra disegna nero un orizzonte più alto, misterioso, irraggiungibile. Mi giro verso il mare aperto: non ha sorprese, lui. Non per me che lo conosco bene. L'ho navigato nelle parti più fredde, fra i ghiacci sempre diversi eppure perenni. Ho nuotato in acque più calde, durante interminabili giorni luminosi, seguiti da brevi notti non troppo scure. Non come stanotte.


Il cuore mi dice "allontànati", la mente invece galleggia sul mare, ipnotico amico di sempre. Il cuore ogni tanto accelera un po', ad ogni soffio di vento. Rimango ancora un po' qui, soltanto un minuto, un altro lunghissimo eterno minuto. "Allontanati": non ne ho voglia. Come se "aver voglia" portasse con sé qualche senso. Onde, luna, stelle, vento, mare mare mare.


"Allontanati": non serve fuggire ai propri fantasmi. Così spesso ho immaginato di abbandonarli laggiù, sulla terra lontana ma sempre presente, invisibile e poi riemersa come un rimpianto di vita perduta per sempre.


Stanotte non sommergerò la mia voglia di "ancora", il senso del fluire continuo dei battiti: aspetto. Niente e nessuno, aspetto. Io e me che finalmente si ricongiungano in un punto invisibile dell'universo, aspetto.


Silenzio. Piccoli noti rumori: le onde, il vento, le onde. Improvviso un ritmo trattenuto, un balzo di corsa del cuore, la barca. M'immergo. La fiocina sibila spezzando l'aria, perfora l'inutile schermo dell'acqua, s'infilza. AH ! Giù, giù, svelto ! "Allontanati". Si tinge di rosso quel mare di cui tante volte ho ammirato i riflessi. M'acceca, mi toglie le forze. Giù, giù, allontanati ! Mi manca il respiro. Cercando l'inganno inverto la rotta, risalgo. Colpo di coda. La barca va in pezzi. Respiro. Ancora quel sibilo. AHI ! Un altro colpo. Allontanati: sempre più debole l'urlo del cuore, la mente ormai si confonde. Il mare, le stelle, la luna, le onde e quel vento... La vita in un soffio si spegne.


La terra riappare, lontana e beffarda: stavolta mi ha vinto.

martedì 28 ottobre 2008

Coma

Dormo. Ho da smaltire il sonno di una vita, almeno dai 40 in giù. Troppe albe ho stracciato, per esser puntuale a scuola, per evitare tram troppo affollati sempre in ritardo, per distribuire il pacco di volantini stampati ieri sera.


Sveglia con la tromba militare, sveglia mezz'ora prima per poter trovare l'acqua calda nelle docce. A letto si parlava sottovoce, dopo il "silenzio", fino a tardi.


Sveglia da pendolare, fiato corto dietro al treno che sta partendo, che è sempre già partito, ma la corsa comunque. E poi scendere nella macchina gelata per andare a lavorare, e tornar la sera, a buio o nella nebbia.


Sveglio di notte per i pianti dei bambini, ce n'è sempre uno da cullare in braccio, o qualche falsoallarme.


Sveglio perché un buon padre deve portarli a scuola, perché sia un fatto di partecipazione. Sveglio di stress la notte, cercando spazio per un hobby che di giorno non ha tempo. Sveglio d'incomprensione con chi non sa comprendere altro che bisogni quotidiani.


Dormo. Ho l'infinita voglia di dormire che sente chi sul viale del tramonto ha un brivido, e non un'impressione. Dormo da non sentire sveglie o suonerie, dormo e non ascolto le voci che mi chiamano alla vita, dormo immobile su questo lettobianco di marmo o di lenzuola fredde.


Dormo e non muovo un muscolo. Mi sto allenando per quando non ne muoverò davvero. Dormo e non vedo, non so se è notte o giorno. Mi costruisco una notte in cui si può solo dormire. Dormo. Sento i dottori che discutono, discretamente a bassa voce, pensando che io non senta. Dormo e davvero non sento le loro ultime parole.


"È entrato in coma".

domenica 19 ottobre 2008

Prima che il Tempo cambi

Bella giornata oggi, sì. Bella davvero. Sembrava quasi che il tempo avesse dato tregua a tutte quelle foglie gialle, là per terra, e tutto quel vento, ora freddo, ora più tiepido sembrava far girare il mondo.


C'erano passi e passi dietro ai passi, a portarmi da nessuna parte, laggiù fra verdi e azzurri e ocra delle case, e nero asfalto, e gente.


Ninnoli scintillavano nel sole, senza significato come i miei minuti, come quel cucchiaino inutile a fianco della tazza del caffè. Cortesia finta del barista, forse per mestiere.


Senza pensieri, o forse nascondendoli, scesi la strada, i ciottoli, l'arco, il piccolo ponte sopra un fossato ormai asciutto da secoli. Rumori di lontane civiltà, clamore d'armi, assieme allo stridio d'assurde teconologiche diavolerie moderne, tutto si mescolava nelle orecchie, fra le orecchie, nella testa.


Brividi ed altre sensazioni, corpo immateriale l'aria circostante, mutevole ma con la propria massa. Non troppo lentamente, non improvvisamente.


Fu tempo di tornare, discendere la china del viaggio, come in autunno, prima che il Tempo cambi.


Made a meal and threw it up on sunday,

Ive, got a lot of things to learn,

Said I would and I believe in one day,

Before my heart starts to burn.


So whats the matter with you,

Sing me something new,

Dont you know the cold and wind and rain dont know,

They only seem to come and go, away.





Oasis - Stand by me

L'Elfo di Frida




Lui non sapeva di esserlo. Un Elfo. Quello era il nome che gli avevano dato gli Umani, strani esseri con la pretesa di catalogare tutto. Senza le parole, gli Umani sarebbero morti in breve tempo. Lui invece no. Lui sapeva riconoscere le stagioni dall'odore che sentiva nell'aria. Persino la paura era per lui un odore: terribile, da fuggirne via lontano appena possibile. Oppure nascondersi in attesa che si dileguasse.


Anche con le orecchie si muoveva a suo agio, anzi con l'interpretazione dei suoni che gli giungevano attraverso le orecchie. Sibili, fischi, schioppi: tutto quello che la Foresta gli aveva insegnato, in 584 anni di onorata esistenza. Aveva un orecchio mobile, per ascoltare ma anche per segnalare discretamente: uno solo, però.


Ma la sua specialità era il tatto: riusciva a sentire cose che nessun altro sentiva. Passando in un certo modo le mani e le dita sui corpi, animati o inanimati che fossero, percepiva vibrazioni, elettricità, calore e le loro infinitesime variazioni. Al tempo stesso, riusciva a trasmettere tramite le mani molte energie positive. I suoi erano qualcosa di più che semplici "massaggi", sembravano vere e proprie sessioni curative. O almeno palliative di sofferenze e dolori. Non solo fisici.


Tutto questo era l'Elfo di Frida.

venerdì 17 ottobre 2008

Le foglie rosse

Ancora mi appassionano

le foglie rosse dell'uva

a fine ottobre.


Vorrei farne dei quadri

da giocare in tavola

quando la vita mi risponde picche.


E sogno sempre i fiori

della mia primavera

dove mi specchio Re di cuori.

lunedì 13 ottobre 2008

Il sapore dell'uva

Questa vita che mi sfugge via

come un acino d'uva schiacciato

fra denti e palato,

quei mille sapori vietati-morti

che tornano come fantasmi

e mi osservano, attoniti, fermi

e più vivi che mai. Tornerai

sembrerò sempre uguale, lo stesso.

Indossando un sorriso

aprirò la mia porta, deciso.


Si muore un giorno alla volta.

domenica 5 ottobre 2008

Tornerai

Tornerai forse un giorno

dove sempre io torno

sentirai dentro al cuore

quello strano rumore

che non lascia speranza

che fa correre altrove.


Sulle rive di un lago

in un giorno di Maggio

quando i pioppi c'inondano

d'un miracolo bianco,

sulle sponde del cuore

che trabocca emozione

ho toccato mia dolce

una dolce canzone.


Tornerai forse un giorno

come io tornerò

di quel magico giorno

ricordandomi un po':

quando manchi ti aspetto

quanto manchi però

che il respiro nel petto

trattenere non so.

sabato 27 settembre 2008

Un gioco da ragazzi

Non dico

non faccio

non bacio

non scrivo lettere

né testamenti.


Non dico di non aver vissuto:

non conto rimorsi o rimpianti.


Non faccio né bene né male:

avrei voluto passare inosservato.


Non bacio per non interrompere

la dolce magia d'un sentimento.


Non scrivo più lettere

che nessuno leggerebbe mai.


Di testamenti ne scrive

chi ha qualcosa da lasciare.


In questo freddo d'autunno

mi porto via me stesso.

Noi

Un po' di te, di me

nel tempo delle foglie

volteggia e va.


Un attimo si posa

a terra: lo bagna

la pioggia d'amore.

domenica 21 settembre 2008

Autunno

Ma non ti pare il tempo

di radunare foglie

sottraendole al vento

di settembre ?


Raccoglieremo rami

secchi, caduti

e ne faremo fuoco

nel camino

per riscaldarci

insieme.

domenica 14 settembre 2008

Esistenza

Seguo

di tutto e niente

la precedente

esistenza.

domenica 7 settembre 2008

La pioggia di settembre

La pioggia di settembre

porta con sé il segreto

della malinconia nascosta

dietro la curva di un sorriso

parabola discendente

venerdì 5 settembre 2008

Biancaneve e i 7/9

Un giorno di tanti ma tanti anni fa' nacque una bella bambina. Non appena fu in grado di camminare, quella bambina, curiosa come tutte, cominciò ad esplorare il mondo che la circondava e così, esplorando esplorando, trovò una borsetta di plastica: più che una borsetta, era un contenitore a forma di borsetta. Era di plastica morbida ma pretendeva di essere di paglia, come fintamente intrecciata.


Fu bello aprirla e scoprire che cosa conteneva: mollette da bucato. Mollette bianche di legno, con la molla d'acciaio che le serrava, in attesa di mordere i panni, impedendo caparbiamente al vento di portarseli via.


Il gioco di Biancaneve consisteva nel tirar fuori le mollette dalla borsetta e poi rimetterle dentro. Forse, a modo suo, le contava. Sicuramente le osservava, cercando di distinguerle una dall'altra.


Le mollette di legno erano, infatti, una diversa dall'altra: piccole imperfezioni, venature del legnaccio con cui erano fatte, segni dovuti all'uso e ai piccoli traumi che potevano aver subito.


Ma quel pomeriggio era speciale: tutto era fermo, e silenzioso, e in attesa di chissà quale evento. Biancaneve prese la borsetta delle mollette: quattordici mollette su diciotto in totale. Facendo la proporzione, i sette noni.


Andò in giro così, come una favola: Biancaneve e i Sette Noni.

Cenerentola GMT

Si chiamava in un altro modo, ma tutti la chiamavano Cenerentola, tanto che aveva ormai dimenticato il suo nome vero.


Conduceva una vita "normale", per certi versi "tranquilla", specie quando riusciva a lasciar perdere un certo "passato".


La sera, però, si concedeva un lusso. Quasi tutte le sere. Dopo cena. Lasciandosi tutto alle spalle (lavoro, casa, e la giornata intera), si sedeva davanti al PC e cominciava le sue "chat". Nessuna particolare "avventura", tutte persone che conosceva bene, anche "in real life". La maggior parte vivevano lontano, quindi l'unica posssibilità di parlarci e di scambiare le proverbiali "quattro chiacchiere" era la chat. Molto meglio che il telefono, per la simultanea comunicazione con diversi soggetti, molto più economico, oltretutto.


Così Cenerentola, salita sulla sua Zucca-Carrozza-PC andava al ballo del Principe, dove poteva incontrare i suoi altrettanto magici amici e amiche: c'era chi raccontava della giornata che faticosamente volgeva al termine, chi cercava conforto dal "mal d'amore" che, si sa, quando non è ricambiato è quasi peggio del mal di denti, chi semplicemente commentava i fatti del giorno, vicini o lontani che fossero.


E così il tempo passava. Ma Cenerentola non dimenticava che cosa le aveva detto la sua Fatina: ricorda che allo scoccare della Mezzanotte tutto questo sparirà, e tornerà la monotona realtà di sempre: piatti da lavare, spesa-pranzo-cena da organizzare, il lavoro l'indomani, il partner sempre più odioso e odiato... Soltanto un particolare rendeva questa "scadenza" diversa da quella della famosa favola: la Fatina, e con lei Cenerentola, sapevano che l'incantesimo si sarebbe spezzato alla Mezzanotte "GMT", ossia del Meridiano di Greenwich ! In altre parole, Cenerentola iniziava la sua "ritirata" alle 23 ora locale e non a mezzanotte.


Quella sera, come tutte le altre volte, Cenerentola alle 23 spense il PC e andò a dormire, non senza aver riempito di baci i suoi interlocutori.


La scarpetta di cristallo, virtuale come il resto, rimane lì ad aspettarla, domani, non oltre le 23.


meccano

lunedì 1 settembre 2008

Onnipresente

Faccio di tutto

per cancellare un vuoto

ma resta onnipresente

la tua assenza.

venerdì 15 agosto 2008

Adesso

Tre nuvole rosse, arancioni

sospese nel cielo violetto

dopo la pioggia.


Tre strani pensieri, batuffoli

erranti da emisfero a emisfero

durante la sera.


Tre piccole anime, angeli

a volo da universo a universo

sorpresi nel tempo.


Adesso.

lunedì 11 agosto 2008

E ora vado

Nel tenermi

da solo

la mano

affronterò

quel passaggio.

giovedì 7 agosto 2008

Venere assurda

Venere assurda nelle tue pretese

non ridi e non arrivi a fine mese:

tacciono i venti, i mari e le stagioni

e i giorni tuoi si fan sempre più lunghi.


Gran chiasso e confusione nella mente

vestita d'esteriorità fra quella gente

con gesti esibizioni plateali

d'un angelo rimasto senza ali.


Non posso darti aiuto né curare

quello che porti dentro come un male.


Non posso darti niente, né sperare

di comprender l'inferno che ti assale.


Rimango come sole alla campagna

che la scalda in silenzio e l'accompagna.

Venere assorta

Venere assorta nelle tue ragioni

non piangi la tua vita e non ricordi:

passano i venti, i mari, le stagioni

e i giorni tuoi si fan sempre più corti.


Silenzio di pensieri pieno e vano

riflette dentro e fuori ad ogni passo,

gesti del tuo noioso quotidiano

discendono dall'alto verso il basso.


Non posso darti aiuto, né curare

quello che porti dentro come un male.


Non posso darti niente, né sperare

di comprendere l'inferno che ti assale.


Rimango come neve alla montagna

che le fa da coperta e l'accompagna.

domenica 3 agosto 2008

Ella - Parte Prima

Il suo Destino era un clan: un clandestino arrivato da chissadove su una barca chissaquando attraversando l'oltremare. Ella aveva occhi blu oltremare, ma si potevano ammirare in tutto il loro splendore solo al mare, dove il suo sguardo faceva tremare. In quel modo, poteva scegliere in quale dei tre mari tuffarsi. Di solito sceglieva il mare minore, così, per abitudine alla prudenza. Era per lei quasi un rito, anzi un prurito, poiché era allergica a molte cose. Ella ospitò il clandestino nella vecchia casa, giusto il tempo che lui trovasse una sistemazione, una galera o un foglio di via. Larga è la foglia, stretta è la via, un giorno il clandestino non fece ritorno. Poteva essere un mercoledì. Ella pensò che fosse un venerdì, così, per assonanza con Robinson Crusoe. Impara l'arte... Ella pensava invece: impara l'arto, e mettilo da parto. La bambina nacque un po' prima del previsto, per quanto si potesse prevedere in base alla data del concepimento. Ella la chiamò Prima. Per secondo nome volle metterle Parte. Perchè faceva parte ormai della sua vita. E qui finisce la Prima Parte. A seguire si ammireranno Ammiragli, suoneranno sonagli, penderanno pendagli, e tutto il resto, in piccole monetine.

sabato 2 agosto 2008

Ella - Incipit

Ella viveva in una vecchia casa, mezza diroccata e mezza sciroccata. Una stamberga, un ex albergo che le ricordava un ex: Alberto. Una vecchia bicocca rimasta in frigo, senza "al". Di nuovo Alberto. Alle volte sembrava anche un po' sciroppata, come una pesca. Quella pesca di beneficienza dove aveva conosciuto Alberto: come dimenticarla ? Già, anche Carla, eccellente nei consessi di menti... dimenticarla ? E poi un consesso non è mica un congresso. Lo dice la parola stessa. Un-due-tre: stessa ! Stupido gioco che faceva coi cugini, da piccola. E poi, si sa, l'ozio è il padre dei cùgini. Ginecologi, ne aveva conosciuti diversi: tutti strani, chi per un verso, chi per l'altro. Come i poeti: tutti anima-e-sesso. Lei invece, come Boccadirosa, metteva il sesso sopra ogni cosa. Ma talmente sopra, che a volte non ci arrivavano le aquile. A volte, ci arrivavano gli avvoltoi, che sono affini agli accappatoi (pensava, un giocattolo da cucina: "a cappa toy", oppure una fabbrica di giocattoli: "A.K.Toy"). E mentre pensava, continuava a vivere: questo l'aveva sempre sorpresa. Come la "vespa Teresa", lo scooter che uno dei suoi cuginecologi le aveva regalato (usato) quando aveva 14 anni (la vespa). Ella invece a 14 anni non era ancora stata "usata". Ma non lo sapeva. Andava incontro al Destino come una lettera va incontro al suo destinatario. E infatti lo incontrò.

domenica 27 luglio 2008

Musica e silenzio

Non parlo

di sensi o di amori

stravolgimenti

ormai materiali

che a lungo strofinano

buccia su buccia.


Non mi interessa

soltanto sentire

contare i battiti

eliminare

ciò che la retina

ignora o colpisce.


Non avrò pelle

né orecchie

né lingua

né naso

per quello

ch'è fuori di me.


Condenso

l'essenza

il creativo

il nuovo davvero

non riconducibile

ad altra esperienza.


Uccido il banale

che uccide

il mio vivere

oltre il normale.


C'è musica dentro

silenzio

d'intorno.

domenica 13 luglio 2008

Pazzo pagliaccio

Pazzo pagliaccio

occhi di ghiaccio

non c'è via d'uscita

da questa prigione

vita.


Largo il vestito

buffo, sdrucito,

un naso rosso

ridersi addosso.


Uomo incompiuto

bimbo, neonato,

folle bambino

pazzo ragazzo:

niente ti sposta

niente ti aggrada

corri e saltelli

lungo la strada

cadi, rialzi

presto la testa

per non mangiare

questa minestra.


Solo ma libero

triste ma allegro

resti contento

ed irrequieto,

pazzo pagliaccio

Occhidighiaccio.

sabato 12 luglio 2008

Basta

Basta una pizza,

a volte,

a non sentirsi soli.


Dolce scorre la birra

nella gola.


E il fiume Giava ?

Sarà il solito "sola" !


Meglio lasciarli perdere,

quelli che credono ogni volta

di poter "vincere-e-vinceremo".


Giocare al Lotto

oppure andare a letto

con qualcuno che conosci

per davvero.


Ogni pensiero è attimo

e abbonda di pensieri:

oggi, domani, ieri

persino i buchi neri

rimangono incantati

a risucchiare

gli Universi interi.


Numeri, razionali

ed altre bestie rare

si rincorrono senza sensazione,

mentre i rosoni gotici ci guardano

estasiati d'estate e d'emozione.


Richiudi le serrande,

le persiane, gli scuri,

e infin le tapparelle,

e prova addormentandoti,

ridendo a crepapelle,

a scrivere dei versi

sequenze di parole

senza significato

siccome il senso vuole.

sabato 5 luglio 2008

Onde

Giro

alla deriva

di un'onda

inesistente.

domenica 29 giugno 2008

Senza gocce di sangue

Passano i giorni

e passano i sudori

che un'Estate regala

alla mia schiena.


Sei stata qui

o forse ti ho sognata

piccola goccia di splendida

rugiada.


Non so spiegarmi

quei piatti

da lavare,

quelle grinze nel letto

e quei cuscini

accavallati

da volersi amare.


Rifiuterò col tempo

l'evidenza

di ciò che la realtà

mi oppone,

così per non soffrire

ancora e ancora.


E gatti perderanno zampe

di vetro

senza gocce di sangue

né lamenti.

giovedì 26 giugno 2008

Male di vivere

Quante piccoli graffi in fondo al cuore, quante persone che ho tenuto care, sembrano andate via lontano, in uno spazio-tempo inafferrabile !


Non so, non posso credere che un giorno diventeranno polvere e sbiaditi ricordi: fa troppo male.


Quando si unisce il cuore, così vicino, resta qualcosa che cambia l'Universo.


Sono triste e felice al tempo stesso, e questo sentimento ha un solo nome: male di vivere, ossia "malinconia".

lunedì 23 giugno 2008

Secondi

Che rotolano via

uno dietro l'altro

senza far rumore

dimmelo con altre parole.


Fammi pensare che vanno

pieni di noi o di che,

facce di specchi magici

infinitamente ripetuti

eppure diseguali.


Sciogli i capelli,

passa una mano

calda sulla mia

mano fredda

ma non avere fretta.


Fermati e guarda,

rimani e ascolta

l'eco del cuore:

"lo senti ?" ancora.


Secondi che volano

uno dietro l'altro

e ci avvicinano

un po' ci allontanano:

viviamoli ancora.

venerdì 20 giugno 2008

Un buco nelle nuvole

Eppure ogni volta mi sorprende: vedere quelle casine piccine laggiù, che sembrano finte. E la ferrovia (sempre più raro vederne, di ferrovie), proprio uguale ai miei amati trenini...


Affacciato al piccolo oblò, poco più avanti dell'ala, guardo l'Italia che scorre sotto il mio aereo: mari, montagne, laghi. Persone: no, quelle non si vedono, ma certo ci sono, laggiù, con i loro affanni quotidiani, con i loro piccoli grandi cuori che battono.


Che strana la vita: o meglio, sembra strana quando cerchiamo di darle un senso, altrimenti è semplicemente grottesca, assurda. Che m'importa di stare quassù, dopo essermi alzato presto ancora una volta, andare da gente che non ha voglia di vedermi almeno quanto io non ho voglia di vedere loro, raccontare il mio bla-bla tecnologico, fingendo che qualcuno possa realizzarlo, costringendoli a dire che sì, forse, ne parleranno coi capi, lo faranno, sì, forse, chissà. Che m'importa del tedesco (herr prezident), che m'importa del gentile collega: tornerò a casa tardi stasera. E non ci sarà nessuno ad aspettarmi.


I negozi degli aeroporti sembrani tutti uguali. E non si trovano gelati confezionati, ma solo gelati "artigianali" per turisti. Torniamo in orario. Sulla strada di casa, un motociclista ha pensato bene di finire la sua vita in forma di marmellata sull'asfalto. Cinque macchine della Polizia lo sorvegliano, dovesse mai resuscitare.


È molto tardi quando rientro a casa. E non c'è nessuno. Lo sapevo: tutto sommato, oggi ho fatto solo un buco nelle nuvole, per farci passare i miei sogni.

domenica 15 giugno 2008

Fenice

Distruggermi di più

non so se ricrearmi

dalle ceneri voglio

ancora una volta voglio.


mercoledì 11 giugno 2008

Portavo i capelli come Robert Plant






Portavo i capelli come Robert Plant,

stavo là in mezzo alla strada

rivoltando il mondo e il cielo.


Attaccavo a testa bassa

senza sentire i colpi, tiravo dritto

difendevo un delirio originale.


Avevo idee che non ho mai tradito

-- chi si ama non si tradisce addosso

avevo capelli come Robert Plant


-- suonavo la mia rabbia in faccia al mondo.

lunedì 2 giugno 2008

Come si fa

Si va, si sta, si passa, si rimane. In una vita che si fa chiamare "fame di andare avanti", almeno per la curiosità di vedere quel che c'è, di passare al "dopo". Visi e labbra e occhi e quante voci attraversano l'anima e non finiscono. Tenersi stretti i sentimenti e gli attimi, quelli nascosti fra i normali battiti, quelli che svelano un pezzo d'infinito. E subito richiudono lo scrigno, troppo avari per darcene un pezzetto: ci lasciano sognare, avvicinarci ma non troppo. Amare. Come si fa. Come si fa, mi chiedi, e non rispondo. Non saprei dirti come si sta dentro nei nostri corpi, che unendoci dividono, e poi per sempre. Niente è per sempre, ma l'adesso è eterno, se tu sei qui, se io con te sto lì.

mercoledì 28 maggio 2008

Una sera

E ci sarà una sera

una di quelle normali

in cui ti guardi le mani

e dentro pensi: "domani".


E ci sarà una sera

una di quelle che non sai

in cui ti specchi - tu mai !

e non sarai domani.

sabato 24 maggio 2008

Fragole alle labbra

Non hanno fragole alle labbra

questi miei anni di stanchezza e rabbia.

Sale di solitudine e zucchero d'amore,

novità al limone e pelle d'albicocca,

un pizzico di zenzero, cioccolata a fiumi:

sei bella quando guardi gli occhi miei

con gli occhi tuoi ghirlanda d'emozioni.

E lascio che la vita mi perdoni

e vinca anche stavolta

infine nuda.

martedì 20 maggio 2008

Il Quarto Uomo

Eravamo in quattro - chi l'avrebbe mai detto. Carlo lo conosco abbastanza bene, per motivi di lavoro. Cristiana è sempre stata "la ragazza della stanza accanto": ha un aspetto giovane, anche se credo che abbia più anni di quelli che dimostra.


Il Quarto Uomo l'avevamo incontrato proprio là dentro, ma non c'era niente di strano: lui fa le pulizie "di fino", non quelle dei bagni, no. Lui lucida le maniglie satinate delle porte a vetri di quei "loculi" chiamati uffici, nel Palazzo Nuovo, e soprattutto le pulsantiere degli ascensori. Ci passa le ore, con le sue pezze e gli spray: mica pezze qualsiasi. Ne usa prima una un po' ruvida, per togliere i segnacci che inevitabilmente qualche centinaio di impiegati lasciano su quelle belle piastre di metallo lucente che circondano i pulsanti di chiamata degli ascensori. Poi spruzza il suo "prodottosegreto" e passa la pezza morbida. Asciuga quella specie di schiumetta bianca. Aspetta qualche secondo, poi ripassa con un'altra pezza asciutta e morbida. Alla fine osserva: se il risultato non è quello desiderato, ricomincia tutta la procedura. Contando che nelle quattro grandi ali del Palazzo Nuovo ci sono altrettante coppie di ascensori, si fa presto a capire come passa la giornata, il Quarto Uomo. Una pulsantiera esterna per ognuno dei sette piani del Palazzo, più la pulsantiera interna di ognuno dei due ascensori, moltiplicato quattro. Tutte con la stessa cura, con la stessa meticolosa procedura. Senza contare che, mentre pulisce, il nostro Quarto Uomo inevitabilmente tocca i pulsanti, e quindi provoca la fermata degli ascensori a tutti i piani, indipendentemente dall'impazienza degli impiegati che aspettano di salire o scendere nel Palazzo Nuovo.


Insomma, stavamo andando a mangiare in mensa. Non è che ci fossero grandi alternative, considerato il fatto che il Palazzo Nuovo sorge in una zona piuttosto isolata, dove il primo nucleo abitato, dove si può trovare qualcosa da mangiare, dista più di un chilometro. Insomma, io e Carlo avevamo fatto tardi per motivi di lavoro, e Cristiana ci aveva pazientemente aspettato per non andare a mangiare da sola, visto che nella sua stanza non c'erano altri colleghi, a causa della Cassa Integrazione e di altre assenze.


Arriva l'ascensore - i nostri uffici stanno all'ultimo piano del Palazzo Nuovo. C'è il Quarto Uomo dentro che sta impassibile come se avesse appena finito di lucidare la pulsantiera. Entriamo. Il pianoterra è già prenotato. L'ascensore chiude le porte automatiche e comincia a scendere. Ogni tanto un cigolio sininstro, ma ci siamo abituati. Questi ascensori cigolavano anche appena montati, pochi mesi fa', nel Palazzo Nuovo. Tutto è bello in apparenza, ma tutto lascia un po' a desiderare: come le coperture del passaggio che conduce alla mensa, che quando piove lasciano allegramente aperte qua e là pittoresche cascatelle, o la pavimentazione del cortile, che un po' si stacca e nelle solite antipatiche giornate di pioggia forma creativamente pozzanghere disseminate a caso, che costringono a leggiadri saltelli o slalom senza l'uso degli sci.


Nel frattempo l'ascensore scende, fermandosi quasi a tutti i piani, dove nessuno lo sta aspettando, quindi riparte. Ad un piano fa una fermata più lunga. Nessuno in vista. Riparte e quasi subito - BANG - si blocca.


Ci guardiamo in faccia e cerchiamo di "convincerlo" a ripartire, pigiando un po' a caso i diversi pulsanti dei piani. Ci piacerebbe che almeno si comportasse come altri ascensori "moderni" che, in caso di guasto, ti "depositano" al piano più vicino, muovendosi lentamente.


Niente. Il Quarto Uomo, con le sue manone, infierisce sulla pulsantiera. Momento di panico. Suoniamo l'allarme. Sentiamo il campanello che strazia i pianerottoli e le scale, ma non succede nulla. Anzi, non appena si smette di premere l'allarme, il campanello tace. Ci chiediamo se l'allarme sia almeno collegato con la Grande Portineria del Palazzo Nuovo. Visto che non arriva nessuno, ci sorge un dubbio.


Cristiana è un po' pallida e dice di aver preso l'insulina, e che se non mangia nel giro di 10-15 minuti entra in crisi ipoglicemica. Ci attacchiamo al pulsante di allarme. Non vorremmo vederla entrare in coma.


Finalmente si fa vivo qualcuno, che passava per le scale, visto che l'altro ascensore era fermo e questo pure, bloccato con noi dentro. Vanno a chiamare i nostri salvatori. Comincia a mancare l'aria. Il Quarto Uomo inveisce contro gli "ascensori moderni". Io e Carlo cerchiamo di rassicurare Cristiana, che presto saremo fuori. Riusciamo a forzare la porta interna: si vede il muro. L'aria ci manca ogni minuto di più.


Arrivano i Rangers. Mentre loro forzano la porta esterna e noi di nuovo quella interna, che si era richiusa, vediamo che c'è un piccolo passaggio in basso, verso la salvezza. Sedendosi sul fondo dell'ascensore e saltando giù, esce per primo il Quarto Uomo, poi Carlo, poi io e infine la povera Cristiana. Ringraziamo i nostri salvatori e ci avviamo verso la mensa.


Si è fatto tardi, ma per fortuna non piove. L'aria del cortile ci fa sentire "liberi". Al ritorno, si sale a piedi.

domenica 18 maggio 2008

Lontano

Il tempo che passa

lontano da te

colora le note

fruscio della seta

odora di polvere

al gusto di sete

di pioggia una goccia

una goccia una goccia:

il vento l'evapora

asciuga le notti

di vuoti silenzi

che segnano invano

il tempo che passo

lontano da te.

venerdì 16 maggio 2008

Parentesi g(i)raffe

Hanno colli lunghi

le parentesi giraffe,

(all'ufficio postale)

e girano girano

senza chiedere perché.


Tutta la notte girano

e tutto il dì,

e pure tutto l'effe

perché sono "gireffe".


Stranezze di natura

eccezionali "nezze"

se ne stanno a "nezz'aria"

e (tra parentesi) girano.


Sembrano pale

di ventilatori

come cinque latori

moltiplicato quattro.


Puoi star sicuro

(puoi *sicuro)

che resteranno là

finché non si

romperanno le pale,

quelle (ap)parent(es)i

g(i)raffe.

mercoledì 14 maggio 2008

Fra

Si sta

una corda tesa

come un senso di colpa

fra obbligo e dovere.

domenica 4 maggio 2008

Belle scuse

Belle scuse

sono proprio belle scuse

per non farti da mangiare

per non lasciare il letto

per coccolare la pigrizia

e ritornare dentro te stesso.


Belle scuse

ne hai sentite tante

di storie raccontate

per dare i soliti due colpi

alla botte e al cerchio

per non ferire o per lasciare

tutto come va.


Belle scuse

tengono insieme il tempo

della lontananza e dell'attesa

come il consumarsi

di una candela accesa

come il fumo di cera

che accelera la sera

in chiesa.


Belle scuse

a farsi belli

ognuno per suo conto

e non bastano spiccioli

per saldare nessun conto

se non ce li ha

signora

lasci pure.


Ma resta sul palato quel sapore

di metallo arrugginito

belle scuse.

martedì 29 aprile 2008

Apologia d'irreale

Sembrava ieri

ed era primavera.


Oggi le nuvole

riportano a freddo

la furia dei venti.


Quaranta, ovvero

quattrogatti

restano in barricata

a difendere

quel che resta del gioco.


Speranza (ultima dea)

che non sia solo

TV, pubblicità e pallone,

soldi e immoralità.


Diogene,

tu cerchi ancora ?

Sarai arrestato

per apologia

d'irreale.

domenica 27 aprile 2008

Le tre scimmiette

Non vedo

l'amore che mi dai


non sento

il tuo sentimento


siedo qui sul bordo di me stesso

e non parlo

Come un palo al marciapiede

Non ho più notti

da spendere a Pigalle,

né occhi da bruciarmi

al fuoco dei falò d'estate.


Bella passione,

voglia d'avventura

nei guai cacciarsi

senza alcun respiro, allora.


Vita, che vita

che fuggendo via

mi lasci come un palo

al marciapiede

appeso.

venerdì 25 aprile 2008

La mia chitarra

La mia chitarra è sempre là

che sfida il tempo

e i granelli di polvere,

l'assedio di noia e solitudine.


Ogni giorno la tradisco,

e lei non parla, non piange.


Mi guarda col suo grande occhio,

forse riflette, fra le corde

del suo cuore caldo.


Chissà se un giorno

prendendola fra le braccia

la sentirò suonare

tutte le voci che ho dentro.

lunedì 21 aprile 2008

Newton

Si sentiva più forte

il profumo di quella candela

osservavo cadere una mela


ma non c'è il tuo sorriso stasera

a scaldarmi l'aorta, e rimane

questa inutile ansa del cuore.

venerdì 18 aprile 2008

L'acqua (Manifesto egocentrico)

L'ultimo "cracker" l'ho mangiato, sai ? E poi... ho sete. Il rumore che fa l'acqua versata nel bicchiere, e poi l'onda freddina che scende in gola e nello stomaco: sentire. Non si può smettere di sentire, a meno di non avere una di quelle malattie rare, terribili.


Penso a te che sei lontana, che forse pensi a me, lontano. La tua voce era calma, stasera. Non so se lo eri veramente. Ho infiniti problemi di interpretazione degli "altri". A volte immagino che siano come me, che "sentano" quello che sento io. Poi, a volte, scopro che non è vero. Delusione.


Scrivo frasi ermetiche usando una tastiera ermetica, sul mio computer ermetico, che non è nemmeno "mio" in senso possessivo. Ecco un'altra particolarità del mio essere: "mio" significa "relativo a me", "che ha qualcosa a che fare con me". Sinceramente, non sono "possessivo". Però mi piace una certa coerenza e linearità, e detesto chi non è sincero "razionalmente".


Siamo alle solite. Le mie emozioni, i miei sentimenti sono forse troppo "razionali", "meditati", "pensati". Certo, anch'io faccio cose istintivamente, ma.


Sorprendere, positivamente: questo lo adoro. La banalità è sorella della morte. E nella morte, il nulla. Scherzo con i bambini, sperando che un giorno ricordino, almeno vagamente, che "qualcuno" ha scherzato con loro. Quel "qualcuno" ero io. Lo faccio anche coi "grandi". Ma loro non capiscono. Pensano che io scherzi per risultare simpatico. Che m'importa di risultare simpatico, tanto non lo sono. Per lo stesso motivo non mi piacciono gli anziani. Li compatisco. E mi terrorizza l'idea che un giorno diventerò come loro. Un giorno ? Forse lo sono già diventato !


Non c'è nemmeno un pezzo di cioccolata decente. Quella che ho addentato prima, mi ha mezzo distrutto gli ultimi canini buoni che ho ancora in bocca. Il piacere dovrebbe essere assoluto, non rovinato da questi piccoli inconvenienti.


Per fortuna ho trovato le musiche che mi aveva chiesto mia figlia, per il suo spettacolino. Lei, forse, mi porterà dentro di sé, abbastanza lontano nel tempo.


Bevo un altro bicchier d'acqua.

martedì 15 aprile 2008

Sarà come un addio

Saranno questi oggetti senza senso a farmi compagnia, o le giornate mie che brucio come foglie secche al vento. Sarà qualche sapore (pochi) di quelli che davvero (ormai) ricordo: la cioccolata, la birra, il latte bianco.


Decadono col tempo le notizie che i sensi ci portano da quel mondo "di là", oltre la pelle, gli occhi, la bocca. Serve per farci percepire meno dolore nel momento del distacco.


Vite ne ho avute, non ricordo quante. Vita ne ho ancora, a gocce: la vedo spandersi dai piedi come ombra che la sera avanza.


Qualcosa chiama, forse qualcuno. C'è qualcuno là fuori ? Rispondete una buona volta, fate che io sappia: oppure troverò solo silenzio e buio.


Brancolando, non riconosco niente, al di là del mio naso. E pure quello, ormai, più non mi orienta verso il vento d'aprile che una volta schiudeva nuove avventure, e il verde nuovo mi sa come un miraggio.


Tutto si muove, credo, in qualche direzione. Io resterò seduto, là contro quel tronco d'albero, a pensarti (sai, nell'isola del lago).


E senza voce, senza quella luce degli occhi fiordaliso nei tuoi verdi specchiati, sarà come un addio.

venerdì 11 aprile 2008

Il dono indesiderato

Non l'ho chiesto io: è l'unica cosa che so di sicuro.

All'inizio, tutto era strano, nuovo, diverso. Poi cominciò ad avere il sapore del già sentito.

Più passava il tempo e più le cose si facevano complicate, ingarbugliate: come quando si cerca di sciogliere un nodo e invece si finisce per stringerlo ancora di più.

Più passavano le stagioni e più diventava pesante fare qualsiasi cosa, anche la più spicciola.

C'è un presente, prima di qualsiasi futuro. E c'è un passato, dietro ad ogni presente, che gli impedisce di essere diverso da com'è.

E dopo aver compiuto lo stesso errore, quello di averla data a chi non l'aveva chiesta, sono sempre più sicuro di non averla chiesta, la vita.

giovedì 3 aprile 2008

Dessert

Non basta un dolce

cioccolata e panna,

non serve più il sorriso

di una sera

a far rivivere in noi

quel sentimento,

quella persa magia

così com'era.


Risuona freddo

anche in amicizia

d'intenti, di parole

e d'altro ancora:

sapor di nostalgia,

vuoto di senso.


E l'orologio non riporta indietro

il tempo, l'emozione,

l'alba e l'aurora

che fece luce

a quel cammino incerto

lasciando dietro sé

ombre e deserto.


Non serve un dolce

panna e cioccolata

a farmi ritrovar come e perché,

dove, volendo, e quando

t'ho lasciata.

domenica 30 marzo 2008

Single

M'avanza sempre l'insalata
e del formaggio che muffisce in frigo
non so che farmene in certe sere tristi
amare di minuti e gonfie di quel troppo passato
che non mi risponde quando chiedo il conto.

Se fossi saggio, stenderei il bucato,
rammenderei calzini come fossero storie
rimaste là in sospeso a cavallo del cuore.

Rimango a carezzare le dolcezze
che qualcuno un giorno mi ha donato
e tolgo all'anima le grinze
con il ferro a vapore e alle camicie.

venerdì 28 marzo 2008

Goccia

Ho una poesia
sulla punta della lingua
e un'altra
sulla punta dell'alluce.

Non so strapparmi
le unghie
che di nascosto mordo.

Ferite e lividi
presto guariscono
e mai del tutto.

E mille vite
non bastano
a farti sentire

quella goccia
di mare
che ho nel cuore.

mercoledì 26 marzo 2008

Persone e corpi

Ogni volta cercava persone, nascoste dentro quei corpi. Ogni volta andava a fondo, a volte da solo, a volte colpiva solo corpi, e corpo veniva condannato a restare. Mentre la pioggia batteva sull'asfalto, ogni goccia rimbalzando e ogni goccia si faceva umida nebbia, nebbia che si alzava in quella pioggia, mentre tutto questo, corporeamente, accadeva, la sua mente continuava, continuava a cercare, cercare persone al di là delle vane apparenze che la vita del corpo gli presentava, quotidianamente, davanti.


Persone hanno pensieri, che non dicono mai, quasi mai. Soltanto se la fugace scintilla che abbatte barriere, quella che amicizia o amore così bene nascondono e fanno brillare, soltanto allora, non sempre, pensieri indicibili vengono detti, gettando quel ponte che unisce e coinvolge persone diverse.


Persone hanno speranze, su tutto la strana speranza che non debba, non possa finire, questo esser persona. I corpi invece consumano la loro finita esistenza, i corpi si ammalano, invecchiano, muoiono.


Persone hanno immaginazione, fantasia, sogno, magia. Persone vanno al di là di ogni universo, se vogliono. Persone si uniscono, persone per sempre si lasciano. I corpi obbediscono, così come possono. Persone si amano, a volte s'illudono, più spesso s'ingannano. I corpi a volte si sbagliano, senza colpa e senza mèta vagano, cercando una guida. Persone si attraggono, e i corpi non possono opporsi, o forse non vogliono.


Persone scrivono canzoni e poesie, i corpi le eseguono (a volte neanche le seguono).


Persone hanno una mente, i corpi soltanto un cervello. Entrare dentro una persona è difficile, affascinante, incommensurabilmente mirabile. Entrare in un corpo è fin troppo facile, basta un pene o un coltello, e alla fine delude. Ti sbatte in una cella. Come quella mattina quando il maresciallo bussò alla sua porta, e lui, aprendo, disse subito: "Sì, sono stato io. Ma non mi chieda se fu la mia mente, o il mio corpo a tradire la mente. L'ho accoltellata, perché non ero riuscito ad entrare nella sua persona". Manette.

mercoledì 19 marzo 2008

Giuggiole e giaggioli

Brodi

di giuggiole e giaggioli

e giunchiglie

a Gengis Khan ricordano

glorie di gigli

aggiunte a gemiti,

lucciole e lanterne:

immense confusioni,

fusioni di effusioni.


Nuvoloni

là in alto

rincorrono cuori

di zucchero e ginestra,

o salti di finestra,

Elena e Clitennestra

là dove ride il clito

e l'inclito s'innesta

su poche righe di un racconto antico.


Vano, ma non d'appartamento

l'eco m'adesca e lecco

certe gocce di rugiada intorno a me

come in quel di settembre

l'impressione

che mi fu sublime.


Cerco le rime

rive di un fiume

d'assonanze ridondante

e pieno

e mi vien meno cantando

la mia voce rauca di vino

nel cercar divino ricordo

della passata Gloria.


Corre il ricordo allora

alla Marina

e ad altre che oramai son nomi

senza più volto, voto e vita,

passione sopita

di un'Era giunonica

il cui presente era.


Ora non più

mi sazio

di giuggiole e giaggioli

fin laggiù.

giovedì 13 marzo 2008

La Cometa

Da lontano

arriva e bacia il cielo,

coda e capelli liberamente


sciolti.



Arraffa nuvole

guarda davanti a sé

talvolta silenziosamente

piange.


Non resta:

sempre vòlta

le spalle al suo destino


rimpianti non rimorsi.



Del colore dell'alba

porta il velo

senza suono

senza nulla rubare passa


indisturbata.



E getta la sua luce

in ogni direzione


mi tiene gli occhi aperti

anche quando fa male



perché lei mi somiglia

Cometa che ho nel cuore.

venerdì 7 marzo 2008

Fame

Non aveva fame. Voleva soltanto saziare la sua voglia di quotidianità, di una vita normale, così come ce l'hanno tutti gli esseri umani normali. Si sedette. La tavola era spoglia, ma accogliente: una tovaglietta dai colori allegri la copriva solo in piccola parte; un piatto bianco, un bicchiere di vetro trasparente, un coltello e una forchetta completavano il quadro. O forse bisognerebbe dire una forchetta e un coltello - pensava. Questa infinita diatriba fra mondo maschile e mondo femminile non aveva smesso di stupirlo, da quando aveva cominciato a sentirne parlare. Eppure erano passati ormai diversi decenni, anni della sua infanzia, quando ascoltava quasi senza essere notato i discorsi dei grandi. Quei grandi, allora, lo ritenevano forse troppo piccolo perché potesse capire, o forse semplicemente non si curavano di lui, mentre erano impegnati in quei discorsi. Gli uomini di qua, le donne di là, e poi ancora le donne (partoriscono) mentre gli uomini (fanno il militare) - erano ancora tempi in cui si dava per scontato che esistesse un esercito e che gli uomini (cioè i maschi) dovessero contribuire con la loro presenza, temporanea o permanente, al buon funzionamento di questo esercito. Per difendere cosa. Anche questo rimase a lungo un mistero. Sua zia lo prendeva sulle ginocchia, a volte, e gli cantava "trucci-trucci chi è che va a cavallo, il Re del Portogallo...". Ma questo accadeva ancora prima, finché un bel giorno la zia decise che lui era diventato troppo grosso e pesante per continuare quel gioco infantile. Era cresciuto. Ma i disegni tracciati con mano insicura sui fogli bianchi che la nonna gli faceva trovare, quei disegni di aerei, e razzi e altre macchine volanti, erano sempre là, in quel cassetto dove la nonna riponeva ordinatamente le sue cose. E il divano imbottito, con le teste di leoni (o mostri) scolpite nel legno dei braccioli, quelle piccole bocche spalancate in cui lui si divertiva a ficcare le dita, giocando fra sé a farsele mordere dai leoni o mostri. E l'orologio, guasto e fermo da una vita, incastrato sulla pancia di quella statuetta di bronzo raffigurante un'Idra, o comunque quel mostro che le sue letture infantili avevano identificato come Idra. Senza più lancette, ormai, a segnare i suoi sabatopomeriggi di ozio-disegno-ascolto dei discorsi dei grandi. Non aveva fame. E non riusciva a spiegarsi come fosse passato tanto tempo in così poco tempo.

domenica 2 marzo 2008

Alieni

Non ho stampelle
a cui appendere
le mie malinconie.

Rubo raggi di sole
a primavere improbabili.

Alla media e lunga distanza
si confondono gli altri.

Alieni.

sabato 1 marzo 2008

Davanti e dietro

Vorrei avere un calendario davanti
ed uno dietro
per difendermi dai giorni
e ritrovar le ore
per nasconderci i miei sogni
che restano là
minuti
e i miei desideri
che arrivano sempre
secondi

venerdì 29 febbraio 2008

Quel raggio

Non da queste parti
passa quel raggio
e illudersi ormai
è un'abitudine:

svelta come arriva
assapora un ricordo.

giovedì 28 febbraio 2008

Anatomia di un amore

Prima assonanze
seguite da speranze.

Innamorati
da un lago
dell' 11 maggio
fino al sogno
di una notte
di mezze statue.

Frequenze assenze
parole tante
essemmessenze
coccole carezze
e altre tenerezze.

Futuro incerto
rosellina nel deserto.

mercoledì 27 febbraio 2008

Altro


C'è altro

laggiù

non so

che mi spinge a ...



Cielo, natura

canto di uccellini

il colore dei fiori

il mare

che mai

si ferma

e mai uguale

ritorna

onde

alle mie rive


e la sera

ombre.



C'è altro

  laggiù
  ...   che mi spinge

alla poesia


all'amore.



lunedì 18 febbraio 2008

Cani Sciolti

Il mio tempo lo brucio così, a far niente. Te lontana, malata, forse, di questa lontananza. Ma non vuoi che venga a trovarti. Un tavolo di legno, scuro, ma non così scuro come quello di mia nonna su cui consumavo, la domenica, pomeriggi della mia infanzia senza senso.

I rumori giungono attutiti dalle finestre chiuse. Il sole irrompe nella stanza e illumina il pavimento bianco. Il gocciolio del bagno mi tiene compagnia cantando i suoi secondi persi nel nulla dello scarico.

Il passaggio del pullman, nella via principale, segna un'orario ben preciso, il cui dettaglio mi sfugge. Domani mattina troverò il ghiaccio sul parabrezza della macchina, e perderò tempo a sbrinarlo.

Devo arrivare presto in ufficio, domani: ma l'ha chiesto il capo. Ma non m'importa granché, non ho da far carriera, ormai. Chissà se arriverò un giorno alla pensione. E poi, chissà che rimane da fare, quando uno se ne va in pensione.

Intanto resto qui, coi miei pensieri come cani sciolti a mordermi la gamba. Raggio di sole e incomunicabile silenzio intorno. Darò un po' d'acqua a quella rosellina, che mi guarda dal suo piccolo vaso, e tace.

sabato 9 febbraio 2008

Altro

Mi capita di cominciare e poi lasciare lì, tutto in sospeso. Mi piace.

Meglio ancora se mi chiedono di continuare. Chiudo il quaderno e non ci penso più.

C'è altro, c'è altro !

martedì 5 febbraio 2008

Ho fatto tardi

"Ho fatto tardi. Oggi, fra Carnevale e pioggia ..." scrollandosi di dosso un po' di gocce che erano rimaste impigliate sul suo giaccone ormai tutt'altro che impermeabile, pronunciò quella frase in tono convincente, pur sapendo che non diceva il vero. Infatti, mentre faceva colazione, a casa sua, da solo, si era attardato a leggere un altro capitolo di quel romanzo di Pirandello, che tanto si addiceva ad una certa sua situazione attuale.

Adriana era pronta, come ogni mattina, per essere accompagnata a scuola. Oggi però, senza zaino né merenda, poiché a scuola c'era la festa del Carnevale.

Quante volte ricordava di averlo odiato, il Carnevale, perché veniva a piazzarsi come Festa dell'Allegria Obbligatoria in un periodo dell'anno in cui lui stava regolarmente male. E non erano soltanto mali di stagione: un anno fu il morbillo, un altro una grave delusione d'amore, e poi ... e poi ... chi se le ricordava, quelle altre volte in cui maledisse il Carnevale, portatore di tristezza e sventure ! (cont.)

lunedì 21 gennaio 2008

Occhi aperti

Occhi aperti e dolori forti,
la Rupe Tarpea non aspetta.

Chiude la strada, non il senso
né la sentenza,
ché dei posteri può lusingare
l'assenza.

Ossa rotte, muscoli pieni
di grassa impotenza,
ginocchia valgo-dolenti.

Il freddo non aspetta,
raggiunge, colpisce,
rimane l'amico fedele
di sempre.

martedì 15 gennaio 2008

Prossima fermata

Da un capo all'altro
corre la vita.
Prossima fermata:
emozione mancata.
Riparte il treno
sognando sprazzi
di felicità, buttati
come
coriandoli di Carnevale
sopra una merda di cane.

domenica 6 gennaio 2008

Caffè Versato

Non piangere
sul caffè versato
sulla macchina a gas
su quello iato che
invisibilmente
riprende all'angolo la bocca
ogni volta che
ti respiro.

venerdì 4 gennaio 2008

Aforisma d'amore

Non ho scelto di amarti:
è amarti che ha scelto me.