venerdì 31 ottobre 2008

Moby Dick

Il mare è calmo stanotte: guardo riflesse nell'acqua mille piccole stelle e il bagliore più grande. Nulla è perfettamente geometrico, qua. O forse obbedisce a leggi di un'altra geometria, apparentemente mutevole, come quella del cuore. La mente, volendo rincorrere i dettagli, spesso perde l'essenziale. Il cuore può essere confuso, a volte, offuscato, ma quando vede chiaramente, sa.


Non dovrei starmene qui fra queste onde, stanotte no. Lontano, una striscia di terra disegna nero un orizzonte più alto, misterioso, irraggiungibile. Mi giro verso il mare aperto: non ha sorprese, lui. Non per me che lo conosco bene. L'ho navigato nelle parti più fredde, fra i ghiacci sempre diversi eppure perenni. Ho nuotato in acque più calde, durante interminabili giorni luminosi, seguiti da brevi notti non troppo scure. Non come stanotte.


Il cuore mi dice "allontànati", la mente invece galleggia sul mare, ipnotico amico di sempre. Il cuore ogni tanto accelera un po', ad ogni soffio di vento. Rimango ancora un po' qui, soltanto un minuto, un altro lunghissimo eterno minuto. "Allontanati": non ne ho voglia. Come se "aver voglia" portasse con sé qualche senso. Onde, luna, stelle, vento, mare mare mare.


"Allontanati": non serve fuggire ai propri fantasmi. Così spesso ho immaginato di abbandonarli laggiù, sulla terra lontana ma sempre presente, invisibile e poi riemersa come un rimpianto di vita perduta per sempre.


Stanotte non sommergerò la mia voglia di "ancora", il senso del fluire continuo dei battiti: aspetto. Niente e nessuno, aspetto. Io e me che finalmente si ricongiungano in un punto invisibile dell'universo, aspetto.


Silenzio. Piccoli noti rumori: le onde, il vento, le onde. Improvviso un ritmo trattenuto, un balzo di corsa del cuore, la barca. M'immergo. La fiocina sibila spezzando l'aria, perfora l'inutile schermo dell'acqua, s'infilza. AH ! Giù, giù, svelto ! "Allontanati". Si tinge di rosso quel mare di cui tante volte ho ammirato i riflessi. M'acceca, mi toglie le forze. Giù, giù, allontanati ! Mi manca il respiro. Cercando l'inganno inverto la rotta, risalgo. Colpo di coda. La barca va in pezzi. Respiro. Ancora quel sibilo. AHI ! Un altro colpo. Allontanati: sempre più debole l'urlo del cuore, la mente ormai si confonde. Il mare, le stelle, la luna, le onde e quel vento... La vita in un soffio si spegne.


La terra riappare, lontana e beffarda: stavolta mi ha vinto.

martedì 28 ottobre 2008

Coma

Dormo. Ho da smaltire il sonno di una vita, almeno dai 40 in giù. Troppe albe ho stracciato, per esser puntuale a scuola, per evitare tram troppo affollati sempre in ritardo, per distribuire il pacco di volantini stampati ieri sera.


Sveglia con la tromba militare, sveglia mezz'ora prima per poter trovare l'acqua calda nelle docce. A letto si parlava sottovoce, dopo il "silenzio", fino a tardi.


Sveglia da pendolare, fiato corto dietro al treno che sta partendo, che è sempre già partito, ma la corsa comunque. E poi scendere nella macchina gelata per andare a lavorare, e tornar la sera, a buio o nella nebbia.


Sveglio di notte per i pianti dei bambini, ce n'è sempre uno da cullare in braccio, o qualche falsoallarme.


Sveglio perché un buon padre deve portarli a scuola, perché sia un fatto di partecipazione. Sveglio di stress la notte, cercando spazio per un hobby che di giorno non ha tempo. Sveglio d'incomprensione con chi non sa comprendere altro che bisogni quotidiani.


Dormo. Ho l'infinita voglia di dormire che sente chi sul viale del tramonto ha un brivido, e non un'impressione. Dormo da non sentire sveglie o suonerie, dormo e non ascolto le voci che mi chiamano alla vita, dormo immobile su questo lettobianco di marmo o di lenzuola fredde.


Dormo e non muovo un muscolo. Mi sto allenando per quando non ne muoverò davvero. Dormo e non vedo, non so se è notte o giorno. Mi costruisco una notte in cui si può solo dormire. Dormo. Sento i dottori che discutono, discretamente a bassa voce, pensando che io non senta. Dormo e davvero non sento le loro ultime parole.


"È entrato in coma".

domenica 19 ottobre 2008

Prima che il Tempo cambi

Bella giornata oggi, sì. Bella davvero. Sembrava quasi che il tempo avesse dato tregua a tutte quelle foglie gialle, là per terra, e tutto quel vento, ora freddo, ora più tiepido sembrava far girare il mondo.


C'erano passi e passi dietro ai passi, a portarmi da nessuna parte, laggiù fra verdi e azzurri e ocra delle case, e nero asfalto, e gente.


Ninnoli scintillavano nel sole, senza significato come i miei minuti, come quel cucchiaino inutile a fianco della tazza del caffè. Cortesia finta del barista, forse per mestiere.


Senza pensieri, o forse nascondendoli, scesi la strada, i ciottoli, l'arco, il piccolo ponte sopra un fossato ormai asciutto da secoli. Rumori di lontane civiltà, clamore d'armi, assieme allo stridio d'assurde teconologiche diavolerie moderne, tutto si mescolava nelle orecchie, fra le orecchie, nella testa.


Brividi ed altre sensazioni, corpo immateriale l'aria circostante, mutevole ma con la propria massa. Non troppo lentamente, non improvvisamente.


Fu tempo di tornare, discendere la china del viaggio, come in autunno, prima che il Tempo cambi.


Made a meal and threw it up on sunday,

Ive, got a lot of things to learn,

Said I would and I believe in one day,

Before my heart starts to burn.


So whats the matter with you,

Sing me something new,

Dont you know the cold and wind and rain dont know,

They only seem to come and go, away.





Oasis - Stand by me

L'Elfo di Frida




Lui non sapeva di esserlo. Un Elfo. Quello era il nome che gli avevano dato gli Umani, strani esseri con la pretesa di catalogare tutto. Senza le parole, gli Umani sarebbero morti in breve tempo. Lui invece no. Lui sapeva riconoscere le stagioni dall'odore che sentiva nell'aria. Persino la paura era per lui un odore: terribile, da fuggirne via lontano appena possibile. Oppure nascondersi in attesa che si dileguasse.


Anche con le orecchie si muoveva a suo agio, anzi con l'interpretazione dei suoni che gli giungevano attraverso le orecchie. Sibili, fischi, schioppi: tutto quello che la Foresta gli aveva insegnato, in 584 anni di onorata esistenza. Aveva un orecchio mobile, per ascoltare ma anche per segnalare discretamente: uno solo, però.


Ma la sua specialità era il tatto: riusciva a sentire cose che nessun altro sentiva. Passando in un certo modo le mani e le dita sui corpi, animati o inanimati che fossero, percepiva vibrazioni, elettricità, calore e le loro infinitesime variazioni. Al tempo stesso, riusciva a trasmettere tramite le mani molte energie positive. I suoi erano qualcosa di più che semplici "massaggi", sembravano vere e proprie sessioni curative. O almeno palliative di sofferenze e dolori. Non solo fisici.


Tutto questo era l'Elfo di Frida.

venerdì 17 ottobre 2008

Le foglie rosse

Ancora mi appassionano

le foglie rosse dell'uva

a fine ottobre.


Vorrei farne dei quadri

da giocare in tavola

quando la vita mi risponde picche.


E sogno sempre i fiori

della mia primavera

dove mi specchio Re di cuori.

lunedì 13 ottobre 2008

Il sapore dell'uva

Questa vita che mi sfugge via

come un acino d'uva schiacciato

fra denti e palato,

quei mille sapori vietati-morti

che tornano come fantasmi

e mi osservano, attoniti, fermi

e più vivi che mai. Tornerai

sembrerò sempre uguale, lo stesso.

Indossando un sorriso

aprirò la mia porta, deciso.


Si muore un giorno alla volta.

domenica 5 ottobre 2008

Tornerai

Tornerai forse un giorno

dove sempre io torno

sentirai dentro al cuore

quello strano rumore

che non lascia speranza

che fa correre altrove.


Sulle rive di un lago

in un giorno di Maggio

quando i pioppi c'inondano

d'un miracolo bianco,

sulle sponde del cuore

che trabocca emozione

ho toccato mia dolce

una dolce canzone.


Tornerai forse un giorno

come io tornerò

di quel magico giorno

ricordandomi un po':

quando manchi ti aspetto

quanto manchi però

che il respiro nel petto

trattenere non so.