domenica 25 gennaio 2009

Arrivando Febbraio

Arrivando Febbraio

gelo fuori, gelo dentro

i dolori allontanano

sogni e realtà di oggi.


Sfuma un comignolo

da una casa lontana,

tremano rami spogli

al sole pallido.


Improvviso si fa nero

a ricordarci infine

l'eterno silenzio

dei sensi.

mercoledì 21 gennaio 2009

Out

malva e rosaspina

il silenzio resta in piedi

alla fronte

..............sta

nelle fette biscottate, solo due

insipide integrali

chicchi di grano ignari

non ci saranno altri ornamenti

se non la marea dei pensieri, credo

sono stato re

dello scolapasta tra occhi e pancia

la tazza parla di noi

quando il destino non sa

che strada prendere

mi amo

per aver vissuto belle giornate

lentamente

alla cieca, per le strade buie

un sonno agitato, come si fa

--- ancora una carezza della sera

pensarti e restare a indovinare

lunedì 19 gennaio 2009

Y-ipsilon Pillow

         Immaginate pure la meraviglia quando si trovò per la prima volta alle prese con me, il signor X.


Non poteva certo conoscere il mio vero nome. Neanche lui in effetti aveva un nome, non si chiamava e non veniva chiamato. Niente nomi e niente cose da nominare, proprio niente. Insomma, il linguaggio – così almeno devo supporre – era alieno sul suo coso, come si dice,  sul suo pianeta. Proporzionale, credo, alla sua alienazione terrestre qui, dove tutto ha un nome invece e nessuno si comprende. Considerando che questo è il quinto giorno che trascorre in mia compagnia, la curiosità ha già superato lo spavento e lo stupore iniziale reciproco.


 


L’Osservatorio di Griffith è il mio tetto. Sono studente all’Università di Los Angeles ma mi arrangio  a fare il guardiano notturno qui, dove spero un giorno di entrare dalla porta principale. Di sabato, quando cioè non ci sono scolaresche e l’accesso è riservato a pochi astronomi, spesso ne approfitto. Come studioso ancora dilettante scruto il cielo e applico i calcoli matematici che, interagendo con l’alfabeto, sono un’ottima medicina contro quelle domande vecchie ma vecchie “chi sono, da dove vengo, dove vado”.


Cosa faccio. Eh, scruto, l’ho appena detto e le distanze galattiche sono sentieri labirintici nello spazio: se entri devi saper riconoscere, al buio si impazzisce senza  nomi  e fatti numerici. Il fatto è che passo il mio tempo a cercare di dimostrare il centro di questo labirinto, un’ antica teoria egiziana secondo cui non siamo altro che corpi estranei in un corpo gigantesco. Dentro la sua pancia. Devo trovare l’ombelico, insomma, per essere pratici con voi non addetti. Cosa centra la cosa, com’è, la matematica con la pelle degli altri e la propria? Non lo so, quindi la uso. Non devo darle da mangiare né giustificarmi con lei degli sbalzi d’umo. No d’umore, volevo dire. La mia famiglia  forse non sa bene in quali acque critiche mi trovi: da un bel pezzo, più due che fanno tre per tre risultante in nove giorni esatti cinque giorni fa.  Cerco di uscire da questa pancia in qualche modo da solo per non pesare troppo sul bilancio lordo interno.


 


Puntavo il telescopio su Giove, quindi, su quella sua macchia roteante e colorata quando l’ho visto puntare il suo, suo, no, il suo, il suo ecco, il suo … occhio (?) dritto sul mio.


“Non è possibile. Si è possibile. E’ qui non là. Sospeso a mezz’aria”. Questo il mio primo pensiero. Un’enorme Y sulla … testa?


Se di sguardo si può parlare in tali circostanze, avrei definito il suo una pacifica alga marina e il mio un’ indecifrabile incognita incrociata. Un Mr X e un Y con Z disposizione alla credulità.


Ma cosa vi posso raccontare, io ho provato dopo essermi ripreso a parlargli anche gesticolando.


Nessuna risposta, non un suono, non un movimento delle … mani?


Ho avuto anche il dubbio di essermi addormentato e di vivere un sogno. Forse ero impazzito, il


gigante mi aveva individuato e attivato una terapia antivirus.


Ricapitoliamo: ci siamo osservati, io ho lasciato il telescopio, sono andato verso di … lui, lei, esso, essa? Serio. Giuro che non ho sghignazzato quando mi sono accorto che tremava, che era alto-alta appena cinque …(?), che era senza orecchie né bocca. Due immense pozze azzurre senza ciglia allargate nella più totale timidezza . Alla notte appeso-appesa come una stella. Ma non disse nulla. Così compresi che non c’era nulla da dire, soltanto supporre, immaginare, accettare e accettarsi senza un vero motivo né una spiegazione matematica o alfabetica.


Ma accidenti, almeno un perché avevo il diritto di domandarmelo e non avevo nessuna intenzione di trascorrere il resto della vita dal mio analista, non creduto e deriso da tutti.


 


Sono cinque g …. , che, gioi … , che, giorni che siamo qui. Se davvero ci sono e sono io.


Parlare da solo, si, ci sono abituato. Nella mia stanzetta. Risicata. Y-ipsilon mi ha seguito fin qui in tutto il suo bagliore blu. Non l’ho invitato-invitata, non sapevo come fare per invitarlo-invitarla ma c’è.  Neanche a dire che mi legge nel pensie, mangio parole, pensiero: non esiste leggere ciò che non è sensibilmente inscritto. Però mi guarda e mi guarda. E non dormiamo. Non facciamo altro che guardarci. Come si fa? Si adatta lui, lei, esso, essa oppure mi adatto io?


Non riusciamo nemmeno a toccarci, la distanza è sempre la stessa: se faccio un passo avanti


indietreggia fluttuando come gelatina snodata, se si muove mi immobilizzo alla curva opposta.


Ci studiamo, credo.


No, non è un ectoplasma. Non è una proiezione del Pianeta Proibito. Qualcosa non è. Qualcuno


nemmeno. Se qualcosa o qualcuno è qualcosa o qualcuno.



Pillow!”


Una voce robusta. L’ho udita bene.


Pillow!”


Una voce che fa eco così in tenerezza. Pillow? Da dove salta fuori ora questa altra presenza…


 


Ancora.


 


Caro, pensi che sia possibile?”


Jennifer, spero di si e che abbia la mia passione per le stelle


 


Ma caro …”


Dimmi Jen …”


 


Pensi che saprà già fantasticare prima ancora del nostro sogno?”


Non so, credo di si. Se sarà femmina la chiameremo Willow, flessuosa come un salice e avrà i tuoi


  occhi di cielo


 


E se maschioPillow, un gran sognatore


Pillow!”


Pillow!”


 


Per tutte le cellule, che faccio ora? Se fossimo due? Più di due?


Che confusione pazzesca, un intreccio di evoluzioni …


Dove?


Nasce?


Alfa?


Cromosomi, chi conta in fin fine.

sabato 17 gennaio 2009

L'uomo sbagliato

Ci sono uomini che senza particolare sforzo sono capaci di far soffrire le donne. Forse sono la maggioranza, comunque sono molto visibili. Azzarderei a dire che questo tipo di uomini attraggono molto le donne. Magari non tutte le donne, ma molte donne sì. Quando si crea questo tipo di legame, si trovano donne spesso in lacrime, disperate, che si lamentano di non riuscire a farla finita con "quel mostro", o altre analoghe espressioni. In realtà sono convinto che non vogliano affatto "farla finita".


Il problema, per me, nasce quando incontro una di queste donne, "vittima" di uno di quegli uomini: non mi interessa né dell'una né tantomeno dell'altro, ma ... queste donne sono altrettanto fortemente convinte che io possa fare qualcosa per loro. Niente di più sbagliato.


Non credo di essere capace di far soffrire una donna, né mi interessa farlo. Non creo aspettative, non mi interessano i giochi tipo "faccio quello per vedere come reagisce" o le fughe a rimpiattino. Non dico bugie in amore (eresia !).


Forse per questo mi fa piacere essere "l'uomo sbagliato". Non sognatemi, ci sono già abbastanza incubi nel mondo. Non chiedetemi aiuto: da molto tempo mi sono affrancato da legami di dipendenza emotiva. Amatemi, se davvero volete, così come io amo, quando davvero lo voglio: senza aspettarsi nulla in cambio.

martedì 6 gennaio 2009

Happy Fanny

Happy Fanny era una ragazza come tante altre, solo un po' diversa. Non pensava all'amore, né al denaro, né al cielo. Fabrizio l'amava, forse, ma a lei non importava. Happy Fanny si nutriva d'aria, e di margherite a primavera, per non parlar dei cervi. Correva nei boschi in cerca di funghi velenosi: quando li trovava, li osservava per un po', poi li salutava e li lasciava lì. Happy Fanny cresceva, fuori, ma dentro rimaneva sempre uguale: nutriva una gioia bambina che niente e nessuno le avrebbe mai strappato.


Era passato ormai tanto tempo, e quella notte ebbe un figlio. Maschio. Bussarono alla porta, ma la porta era aperta, e i soldati romani entrarono. Eseguendo gli ordini ricevuti, uccisero il bambino davanti alla madre. Un colpo di spada in mezzo al petto e via. Nemmeno si chiusero la porta alle spalle, uscendo. Happy Fanny ebbe freddo, quella notte.


Happy Fanny faceva strani sogni, la notte, ogni notte. Sognava bambini, sognava qualcuno da amare. Il semplice gesto di amare le era negato. Annegato nell'incubo lontano di una notte lontana. Era felice, Happy Fanny, aveva una casa calda, due gatti, un lavoro e tante finestre da guardarci dentro.


Un'alba trovò Happy Fanny distesa nel letto, più bianca del solito, nuda. Così come era venuta era andata. Tornata alla Casa del Mondo. Piccola ineguagliabile essenza di questo Universo.


Buona notte, Happy Fanny. Ritorna a trovarci fra un anno.

sabato 3 gennaio 2009

Il fischio del treno

Non credo che ci sia niente da fare.

Tutto procede avanti come prima.

La sera scende,

si accendono i lampioni,

rumori fuori scena -- e niente accade.


Consumo vita e vita mi consuma,

di piccoli secondi,

e d'altri sentimenti. Stanco di trascinare,

mi trascino, e nulla,

nulla porto nella borsa,

soltanto una borraccia

mezza vuota -- d'acqua.


Polvere e vento

e polvere d'intorno,

fan da cornice al poco che mi resta,

finto nell'oro e finto

nella testa. Un fischio da lontano

s'allontana, come di un treno

che quel tempo persi

chissà e non torna

oppure esso -- s'è perso.

venerdì 2 gennaio 2009

Aquila

Silenzio di voci. Un concerto di suoni e rumori carezza l'udito. Pensieri galleggiano come al mare d'estate. Mi prendo per mano a far girotondo. Mai niente si ferma: la chiamano "vita". Nessuno conosce il mio passo. Nessuno fa ombra al deserto. Immagini chiare di cielo, di quando volavo. Silenzio di rocce e di alberi alti. Tramonti inseguiti nel pieno dell'aria che porta lontano. Fa freddo la notte. Lassù arriva presto il mattino. Non cerco quel senso opprimente da scendere al suolo. Ancora un minuto, un millennio, una vita quassù, da regina del cielo.