lunedì 19 gennaio 2009

Y-ipsilon Pillow

         Immaginate pure la meraviglia quando si trovò per la prima volta alle prese con me, il signor X.


Non poteva certo conoscere il mio vero nome. Neanche lui in effetti aveva un nome, non si chiamava e non veniva chiamato. Niente nomi e niente cose da nominare, proprio niente. Insomma, il linguaggio – così almeno devo supporre – era alieno sul suo coso, come si dice,  sul suo pianeta. Proporzionale, credo, alla sua alienazione terrestre qui, dove tutto ha un nome invece e nessuno si comprende. Considerando che questo è il quinto giorno che trascorre in mia compagnia, la curiosità ha già superato lo spavento e lo stupore iniziale reciproco.


 


L’Osservatorio di Griffith è il mio tetto. Sono studente all’Università di Los Angeles ma mi arrangio  a fare il guardiano notturno qui, dove spero un giorno di entrare dalla porta principale. Di sabato, quando cioè non ci sono scolaresche e l’accesso è riservato a pochi astronomi, spesso ne approfitto. Come studioso ancora dilettante scruto il cielo e applico i calcoli matematici che, interagendo con l’alfabeto, sono un’ottima medicina contro quelle domande vecchie ma vecchie “chi sono, da dove vengo, dove vado”.


Cosa faccio. Eh, scruto, l’ho appena detto e le distanze galattiche sono sentieri labirintici nello spazio: se entri devi saper riconoscere, al buio si impazzisce senza  nomi  e fatti numerici. Il fatto è che passo il mio tempo a cercare di dimostrare il centro di questo labirinto, un’ antica teoria egiziana secondo cui non siamo altro che corpi estranei in un corpo gigantesco. Dentro la sua pancia. Devo trovare l’ombelico, insomma, per essere pratici con voi non addetti. Cosa centra la cosa, com’è, la matematica con la pelle degli altri e la propria? Non lo so, quindi la uso. Non devo darle da mangiare né giustificarmi con lei degli sbalzi d’umo. No d’umore, volevo dire. La mia famiglia  forse non sa bene in quali acque critiche mi trovi: da un bel pezzo, più due che fanno tre per tre risultante in nove giorni esatti cinque giorni fa.  Cerco di uscire da questa pancia in qualche modo da solo per non pesare troppo sul bilancio lordo interno.


 


Puntavo il telescopio su Giove, quindi, su quella sua macchia roteante e colorata quando l’ho visto puntare il suo, suo, no, il suo, il suo ecco, il suo … occhio (?) dritto sul mio.


“Non è possibile. Si è possibile. E’ qui non là. Sospeso a mezz’aria”. Questo il mio primo pensiero. Un’enorme Y sulla … testa?


Se di sguardo si può parlare in tali circostanze, avrei definito il suo una pacifica alga marina e il mio un’ indecifrabile incognita incrociata. Un Mr X e un Y con Z disposizione alla credulità.


Ma cosa vi posso raccontare, io ho provato dopo essermi ripreso a parlargli anche gesticolando.


Nessuna risposta, non un suono, non un movimento delle … mani?


Ho avuto anche il dubbio di essermi addormentato e di vivere un sogno. Forse ero impazzito, il


gigante mi aveva individuato e attivato una terapia antivirus.


Ricapitoliamo: ci siamo osservati, io ho lasciato il telescopio, sono andato verso di … lui, lei, esso, essa? Serio. Giuro che non ho sghignazzato quando mi sono accorto che tremava, che era alto-alta appena cinque …(?), che era senza orecchie né bocca. Due immense pozze azzurre senza ciglia allargate nella più totale timidezza . Alla notte appeso-appesa come una stella. Ma non disse nulla. Così compresi che non c’era nulla da dire, soltanto supporre, immaginare, accettare e accettarsi senza un vero motivo né una spiegazione matematica o alfabetica.


Ma accidenti, almeno un perché avevo il diritto di domandarmelo e non avevo nessuna intenzione di trascorrere il resto della vita dal mio analista, non creduto e deriso da tutti.


 


Sono cinque g …. , che, gioi … , che, giorni che siamo qui. Se davvero ci sono e sono io.


Parlare da solo, si, ci sono abituato. Nella mia stanzetta. Risicata. Y-ipsilon mi ha seguito fin qui in tutto il suo bagliore blu. Non l’ho invitato-invitata, non sapevo come fare per invitarlo-invitarla ma c’è.  Neanche a dire che mi legge nel pensie, mangio parole, pensiero: non esiste leggere ciò che non è sensibilmente inscritto. Però mi guarda e mi guarda. E non dormiamo. Non facciamo altro che guardarci. Come si fa? Si adatta lui, lei, esso, essa oppure mi adatto io?


Non riusciamo nemmeno a toccarci, la distanza è sempre la stessa: se faccio un passo avanti


indietreggia fluttuando come gelatina snodata, se si muove mi immobilizzo alla curva opposta.


Ci studiamo, credo.


No, non è un ectoplasma. Non è una proiezione del Pianeta Proibito. Qualcosa non è. Qualcuno


nemmeno. Se qualcosa o qualcuno è qualcosa o qualcuno.



Pillow!”


Una voce robusta. L’ho udita bene.


Pillow!”


Una voce che fa eco così in tenerezza. Pillow? Da dove salta fuori ora questa altra presenza…


 


Ancora.


 


Caro, pensi che sia possibile?”


Jennifer, spero di si e che abbia la mia passione per le stelle


 


Ma caro …”


Dimmi Jen …”


 


Pensi che saprà già fantasticare prima ancora del nostro sogno?”


Non so, credo di si. Se sarà femmina la chiameremo Willow, flessuosa come un salice e avrà i tuoi


  occhi di cielo


 


E se maschioPillow, un gran sognatore


Pillow!”


Pillow!”


 


Per tutte le cellule, che faccio ora? Se fossimo due? Più di due?


Che confusione pazzesca, un intreccio di evoluzioni …


Dove?


Nasce?


Alfa?


Cromosomi, chi conta in fin fine.