Sistemo
piccole cose
su questa scrivania
che non ho mai avuto:
la penna, una matita,
un bloc-notes
per annotare
sentimenti inutili.
Inchiostro
grigioazzurro,
che dagli occhi
prendo a goccia a goccia
per disegnar
dell'anima fantastiche
ardite semplici originali
mie costruzioni.
giovedì 28 dicembre 2006
martedì 26 dicembre 2006
Un anno dopo
Avevo voglia di sentirmi di nuovo innamorato. Pensiero stupido. Desiderio ancora più stupido. Ma quando si pensa e si agisce da stupidi, di solito non ce ne rendiamo conto. Si paga alla fine, il conto, come al ristorante.
Antipasto, qualche stuzzichino. Quasi quasi non sembra di avere fame. Prendiamo due primi diversi, ché poi ce li scambiamo. Niente assaggi, andiamo direttamente al centro della questione. Tutto scorre meravigliosamente: è l'inizio di un innamoramento.
Sono fiumi di miele di messaggi, sono immaginazioni infinite oltre la lontananza, che non ci fanno vedere una lontananza di anime, oltre che di corpi. Comunicare, quanto è difficile. Comprendersi, quasi impossibile. Le affinità irrazionali ingannano. C'è chi chiama sincerità la voglia di non essere ingannato, di non ingannarsi, di nuovo. E quanto si cela, quanto si dissimula e si simula, invocando trasparenza. Magari lo ha fatto senza rendersene conto (voglio lasciarle questa via d'uscita).
Ci pensò la vita, neanche tanto tempo dopo, a fermarci quel volo, a farci sentire fuori luogo e fuori tempo. Dissonante ciò che poco prima ci sembrava un accordo: melodie con tempi e timbri e note diverse, differenti. Differente è ciò che conduce altrove, in un diverso luogo.
E in due diversi luoghi ci svegliammo, io per primo. Senza possibilità di riconciliazione. Nessun "navigatore satellitare" avrebbe potuto indicarci una strada, perché non c'era una strada. Avevamo percorso cieli diversi, differenti, nella medesima contemporanea illusione.
Tutto è più chiaro, adesso: un anno dopo. Io l'ho pagato il conto, senza carta di credito, in contanti. Penso anche lei, che adesso insegue un altro sogno.
Io resto sveglio: preferisco così, ho smesso coi pensieri stupidi. Non fanno per me, ora non più.
Antipasto, qualche stuzzichino. Quasi quasi non sembra di avere fame. Prendiamo due primi diversi, ché poi ce li scambiamo. Niente assaggi, andiamo direttamente al centro della questione. Tutto scorre meravigliosamente: è l'inizio di un innamoramento.
Sono fiumi di miele di messaggi, sono immaginazioni infinite oltre la lontananza, che non ci fanno vedere una lontananza di anime, oltre che di corpi. Comunicare, quanto è difficile. Comprendersi, quasi impossibile. Le affinità irrazionali ingannano. C'è chi chiama sincerità la voglia di non essere ingannato, di non ingannarsi, di nuovo. E quanto si cela, quanto si dissimula e si simula, invocando trasparenza. Magari lo ha fatto senza rendersene conto (voglio lasciarle questa via d'uscita).
Ci pensò la vita, neanche tanto tempo dopo, a fermarci quel volo, a farci sentire fuori luogo e fuori tempo. Dissonante ciò che poco prima ci sembrava un accordo: melodie con tempi e timbri e note diverse, differenti. Differente è ciò che conduce altrove, in un diverso luogo.
E in due diversi luoghi ci svegliammo, io per primo. Senza possibilità di riconciliazione. Nessun "navigatore satellitare" avrebbe potuto indicarci una strada, perché non c'era una strada. Avevamo percorso cieli diversi, differenti, nella medesima contemporanea illusione.
Tutto è più chiaro, adesso: un anno dopo. Io l'ho pagato il conto, senza carta di credito, in contanti. Penso anche lei, che adesso insegue un altro sogno.
Io resto sveglio: preferisco così, ho smesso coi pensieri stupidi. Non fanno per me, ora non più.
domenica 24 dicembre 2006
Basterebbe
Basterebbe riuscire a vedere la bellezza delle foglie gialle e rosse cadute da un albero che erroneamente abbiamo creduto sempreverde.
sabato 23 dicembre 2006
Canto della solitudine
Canto la solitudine,
liquida, fredda, sfuggevole,
caotica, solida e calda materia
che conosco a memoria.
In te sono nato, cresciuto,
dei tuoi silenzi m'hai abbeverato:
attese, incomunicabili assurde pretese.
Amici ogni tanto, illusioni.
Canto la solitudine
di chi come me resta solo
nell'anima, solo cercando qualcosa
nell'anima altrui e nella propria.
Faville ogni tanto, effimere bianche visioni.
In me t'ho accolto, ospitato,
ed ora che insieme abbiamo vissuto
gran parte di questo cammino,
se vuoi puoi lasciarmi
oppure restarmi vicino:
ti dono pensieri,
ti do sentimenti,
ti canto, ti sento,
non so fare a meno
di tenerti dentro.
Sei forse il mistero
che sono chiamato a svelare,
l'assurdo da testimoniare
in dolce silenzio.
liquida, fredda, sfuggevole,
caotica, solida e calda materia
che conosco a memoria.
In te sono nato, cresciuto,
dei tuoi silenzi m'hai abbeverato:
attese, incomunicabili assurde pretese.
Amici ogni tanto, illusioni.
Canto la solitudine
di chi come me resta solo
nell'anima, solo cercando qualcosa
nell'anima altrui e nella propria.
Faville ogni tanto, effimere bianche visioni.
In me t'ho accolto, ospitato,
ed ora che insieme abbiamo vissuto
gran parte di questo cammino,
se vuoi puoi lasciarmi
oppure restarmi vicino:
ti dono pensieri,
ti do sentimenti,
ti canto, ti sento,
non so fare a meno
di tenerti dentro.
Sei forse il mistero
che sono chiamato a svelare,
l'assurdo da testimoniare
in dolce silenzio.
sabato 16 dicembre 2006
Nel frattempo
Tutti si tende verso la stessa fine
oppure ognuno avrà la sua, chissà ...
ma nel frattempo
ci dimentichiamo.
oppure ognuno avrà la sua, chissà ...
ma nel frattempo
ci dimentichiamo.
giovedì 14 dicembre 2006
Il Bacio Dopo
Tre gradini sulla scala.
E non lo chiamerei amore
quello che ti ho dato.
Era giusta l'altezza,
giusta pure l'atmosfera
frizzante di follia,
s'allungava la sera.
Tre gradini sulla scala,
non uno in meno, né uno in più.
A cominciare fosti tu
avvicinandoti furtiva,
ladra di stupiti momenti,
rapinatrice di emozioni.
Ma non lo chiamerei amore
quello che mi hai dato
senza essere sdraiato.
Tre gradini sulla scala
e facevi su e giù,
tre gradini ed era caldo
quel che avevi sulla lingua.
E non chiamarlo amore
io non
lo
chiamerei:
io
non.
Fu lungo il bacio,
dato dopo.
E non lo chiamerei amore
quello che ti ho dato.
Era giusta l'altezza,
giusta pure l'atmosfera
frizzante di follia,
s'allungava la sera.
Tre gradini sulla scala,
non uno in meno, né uno in più.
A cominciare fosti tu
avvicinandoti furtiva,
ladra di stupiti momenti,
rapinatrice di emozioni.
Ma non lo chiamerei amore
quello che mi hai dato
senza essere sdraiato.
Tre gradini sulla scala
e facevi su e giù,
tre gradini ed era caldo
quel che avevi sulla lingua.
E non chiamarlo amore
io non
lo
chiamerei:
io
non.
Fu lungo il bacio,
dato dopo.
martedì 12 dicembre 2006
Intangibile impercettibile
Rimango silenzio
nel mio tichettio irregolare,
intangibile:
e resto ancora invisibile,
come un sibilo lungo nel vento,
impercettibile.
nel mio tichettio irregolare,
intangibile:
e resto ancora invisibile,
come un sibilo lungo nel vento,
impercettibile.
sabato 9 dicembre 2006
Odor di trifogli
Con passo di danza
leggera mi porti
odor di trifogli
sfiorati dal vento:
è strana la sera,
la strada difficile
ha un'aria bambina,
e piano sorride, nel pianto.
Magia di una terra lontana
che forse ci vide vicini:
ritorno a strane visioni
di un sogno che non si dimentica.
leggera mi porti
odor di trifogli
sfiorati dal vento:
è strana la sera,
la strada difficile
ha un'aria bambina,
e piano sorride, nel pianto.
Magia di una terra lontana
che forse ci vide vicini:
ritorno a strane visioni
di un sogno che non si dimentica.
giovedì 7 dicembre 2006
Caldarroste
Com'erano calde le caldarroste mangiate per strada a dicembre, su ali di zampognari e gente, e altre vetrine.
Camminavo e non pioveva. Via del Corso, sì era proprio là. Odore di carta e di stampe in quella grande libreria dove passavo pomeriggi e sere a cercare forse un verso, una pagina che parlasse di me.
Il buio non entrava. E non sentivo il tempo che passava. Ma poi fuori era buio. E freddo. E ritornavo a casa stringendo il mio cartoccio di caldarroste, che mi facevano caldo nelle mani e dentro.
Come gli occhi di mia madre, stesso colore, a cena.
Camminavo e non pioveva. Via del Corso, sì era proprio là. Odore di carta e di stampe in quella grande libreria dove passavo pomeriggi e sere a cercare forse un verso, una pagina che parlasse di me.
Il buio non entrava. E non sentivo il tempo che passava. Ma poi fuori era buio. E freddo. E ritornavo a casa stringendo il mio cartoccio di caldarroste, che mi facevano caldo nelle mani e dentro.
Come gli occhi di mia madre, stesso colore, a cena.
martedì 5 dicembre 2006
Odore d'orzo
Odio l'odore
dell'orzo nella tazza,
che mi riporta
all'infelice infanzia,
fatta di affanno
e di sudore,
di case periferiche
e di sere buie,
con una torcia in mano
in mezzo ai campi,
incontro a lui
che ritornava tardi
dal lavoro.
Sere fatte di minestra
e di frittata, e carne
solo una volta a settimana,
sere davanti ad una radio
che mandava in onda
racconti raccontati,
o gialli senza immagini,
assassini soltanto immaginati.
E piazze grandi come laghi,
predellini alti del tram:
e mi sedevo in terra,
aspettando mamma
e non sapevo
che forse mi ero perso.
Ogni mattina,
quell'odore d'orzo
nella tazza triste
mi aspettava.
dell'orzo nella tazza,
che mi riporta
all'infelice infanzia,
fatta di affanno
e di sudore,
di case periferiche
e di sere buie,
con una torcia in mano
in mezzo ai campi,
incontro a lui
che ritornava tardi
dal lavoro.
Sere fatte di minestra
e di frittata, e carne
solo una volta a settimana,
sere davanti ad una radio
che mandava in onda
racconti raccontati,
o gialli senza immagini,
assassini soltanto immaginati.
E piazze grandi come laghi,
predellini alti del tram:
e mi sedevo in terra,
aspettando mamma
e non sapevo
che forse mi ero perso.
Ogni mattina,
quell'odore d'orzo
nella tazza triste
mi aspettava.