Il mio tempo lo brucio così, a far niente. Te lontana, malata, forse, di questa lontananza. Ma non vuoi che venga a trovarti. Un tavolo di legno, scuro, ma non così scuro come quello di mia nonna su cui consumavo, la domenica, pomeriggi della mia infanzia senza senso.
I rumori giungono attutiti dalle finestre chiuse. Il sole irrompe nella stanza e illumina il pavimento bianco. Il gocciolio del bagno mi tiene compagnia cantando i suoi secondi persi nel nulla dello scarico.
Il passaggio del pullman, nella via principale, segna un'orario ben preciso, il cui dettaglio mi sfugge. Domani mattina troverò il ghiaccio sul parabrezza della macchina, e perderò tempo a sbrinarlo.
Devo arrivare presto in ufficio, domani: ma l'ha chiesto il capo. Ma non m'importa granché, non ho da far carriera, ormai. Chissà se arriverò un giorno alla pensione. E poi, chissà che rimane da fare, quando uno se ne va in pensione.
Intanto resto qui, coi miei pensieri come cani sciolti a mordermi la gamba. Raggio di sole e incomunicabile silenzio intorno. Darò un po' d'acqua a quella rosellina, che mi guarda dal suo piccolo vaso, e tace.