venerdì 7 marzo 2008
Fame
Non aveva fame. Voleva soltanto saziare la sua voglia di quotidianità, di una vita normale, così come ce l'hanno tutti gli esseri umani normali. Si sedette. La tavola era spoglia, ma accogliente: una tovaglietta dai colori allegri la copriva solo in piccola parte; un piatto bianco, un bicchiere di vetro trasparente, un coltello e una forchetta completavano il quadro. O forse bisognerebbe dire una forchetta e un coltello - pensava. Questa infinita diatriba fra mondo maschile e mondo femminile non aveva smesso di stupirlo, da quando aveva cominciato a sentirne parlare. Eppure erano passati ormai diversi decenni, anni della sua infanzia, quando ascoltava quasi senza essere notato i discorsi dei grandi. Quei grandi, allora, lo ritenevano forse troppo piccolo perché potesse capire, o forse semplicemente non si curavano di lui, mentre erano impegnati in quei discorsi. Gli uomini di qua, le donne di là, e poi ancora le donne (partoriscono) mentre gli uomini (fanno il militare) - erano ancora tempi in cui si dava per scontato che esistesse un esercito e che gli uomini (cioè i maschi) dovessero contribuire con la loro presenza, temporanea o permanente, al buon funzionamento di questo esercito. Per difendere cosa. Anche questo rimase a lungo un mistero. Sua zia lo prendeva sulle ginocchia, a volte, e gli cantava "trucci-trucci chi è che va a cavallo, il Re del Portogallo...". Ma questo accadeva ancora prima, finché un bel giorno la zia decise che lui era diventato troppo grosso e pesante per continuare quel gioco infantile. Era cresciuto. Ma i disegni tracciati con mano insicura sui fogli bianchi che la nonna gli faceva trovare, quei disegni di aerei, e razzi e altre macchine volanti, erano sempre là, in quel cassetto dove la nonna riponeva ordinatamente le sue cose. E il divano imbottito, con le teste di leoni (o mostri) scolpite nel legno dei braccioli, quelle piccole bocche spalancate in cui lui si divertiva a ficcare le dita, giocando fra sé a farsele mordere dai leoni o mostri. E l'orologio, guasto e fermo da una vita, incastrato sulla pancia di quella statuetta di bronzo raffigurante un'Idra, o comunque quel mostro che le sue letture infantili avevano identificato come Idra. Senza più lancette, ormai, a segnare i suoi sabatopomeriggi di ozio-disegno-ascolto dei discorsi dei grandi. Non aveva fame. E non riusciva a spiegarsi come fosse passato tanto tempo in così poco tempo.