Dormo. Ho da smaltire il sonno di una vita, almeno dai 40 in giù. Troppe albe ho stracciato, per esser puntuale a scuola, per evitare tram troppo affollati sempre in ritardo, per distribuire il pacco di volantini stampati ieri sera.
Sveglia con la tromba militare, sveglia mezz'ora prima per poter trovare l'acqua calda nelle docce. A letto si parlava sottovoce, dopo il "silenzio", fino a tardi.
Sveglia da pendolare, fiato corto dietro al treno che sta partendo, che è sempre già partito, ma la corsa comunque. E poi scendere nella macchina gelata per andare a lavorare, e tornar la sera, a buio o nella nebbia.
Sveglio di notte per i pianti dei bambini, ce n'è sempre uno da cullare in braccio, o qualche falsoallarme.
Sveglio perché un buon padre deve portarli a scuola, perché sia un fatto di partecipazione. Sveglio di stress la notte, cercando spazio per un hobby che di giorno non ha tempo. Sveglio d'incomprensione con chi non sa comprendere altro che bisogni quotidiani.
Dormo. Ho l'infinita voglia di dormire che sente chi sul viale del tramonto ha un brivido, e non un'impressione. Dormo da non sentire sveglie o suonerie, dormo e non ascolto le voci che mi chiamano alla vita, dormo immobile su questo lettobianco di marmo o di lenzuola fredde.
Dormo e non muovo un muscolo. Mi sto allenando per quando non ne muoverò davvero. Dormo e non vedo, non so se è notte o giorno. Mi costruisco una notte in cui si può solo dormire. Dormo. Sento i dottori che discutono, discretamente a bassa voce, pensando che io non senta. Dormo e davvero non sento le loro ultime parole.
"È entrato in coma".