venerdì 30 dicembre 2005
Oltre la collina
giovedì 22 dicembre 2005
Nebbia
"L'uomo è la sola creatura che consuma senza produrre. Egli non dà latte, non fa uova, è troppo debole per tirare l'aratro, non può correre abbastanza velocemente per prendere conigli. E tuttavia è il signore di tutti gli animali. Li fa lavorare e in cambio dà ad essi quel minimo che impedisca loro di morir di fame e tiene il resto per sé".
"Certo" pensava "e allora i lupi ? Che cosa danno in cambio i lupi ? Niente, così come tutti gli altri predatori. E le mosche ? Sono cibo per le rondini ... E le zanzare ? E i virus, allora ? Non tutti gli esseri viventi rispondono a questo criterio di 'dare-e-avere' ... E che dire dei vegetali, usati da tutti, anche dai vegetariani intransigenti, come risorsa alimentare ? Non sono forse anche loro esseri viventi ? Forse non provano orrore per la loro uccisione, o forse siamo noi stupidi umani a non riuscire a vederlo ...". Una macchina che proveniva nell'altro senso abbagliò coi suoi fari per un istante ... Poi ... Nebbia ! Un banco di nebbia avvolse all'improvviso tutto quanto: e non ci furono più neri campi ad inghiottire lo sguardo perso nella notte, non ci fu più asfalto, né rassicuranti strisce bianche o gialle a fare da impalpabili rotaie per quel percorso noioso e faticoso al tempo stesso. Mario non riusciva più a vedere neanche il cofano della macchina. Istintivamente frenò, ma piano, ché se ci fosse stata un'auto dietro, non lo avrebbe visto in tempo. Consapevole che ormai per il suo viaggio verso casa avrebbe impiegato molto più del solito, riprese il corso interrotto dei pensieri. "E poi l'errore di Orwell fu di paragonare il rapporto di sfruttamento fra animali ed esseri umani allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, che fu il punto di partenza dell'analisi marxista. O forse questo fu (ed è) l'errore di chi legge Orwell un po' troppo alla lettera, senza un minimo di ..." Un grande bagliore invase all'improvviso il suo campo visivo, un clackson potente, come di un camion, poi un'ombra gigantesca si avventò su di lui, poi ...
***
Il Vice-Commissario La Porta sedeva nel suo ufficio, cercando di ingannare il tempo del suo turno di notte con una delle sue "buone letture", come era solito dire a quelli della sua squadra.
"Notte nebbiosa, notte insidiosa". I neo-proverbi del Vice-Commissario erano ormai divenuti ... proverbiali nella Caserma presso cui prestava servizio. Nessuno ci faceva più caso: al massimo una scrollatina di spalle, un sorriso di circostanza. Solo Gennaro, il più giovane, ogni tanto azzardava un complimento. "Dottò, ogni tanto ci vuole una perla di saggezza !" disse a quell'ennesima dimostrazione di buon senso in rima. Chissà quale casualità li aveva accomunati, quella notte, in quel turno.
Il Vice-Commissario sprofondò nuovamente nella lettura. All'improvviso arrivò una telefonata. Gennaro sembrò agitarsi più del solito, anche se di solito si agitava non poco per le telefonate "di emergenza".
"Dottore, dottore, c'è stato un incidente brutto ... vicino al ponte della Statale ... no, sotto ..."
"Calma, appuntato, manteniamo la calma !". La Porta sembrò riemergere dai flutti del libro in cui era sprofondato. Quasi senza parlare, seguendo una prassi ormai ben cosolidata, i due lasciarono la Caserma nelle mani all'altro appuntato e si precipitarono sulla Volante. Nonostante il nebbione, in pochi minuti erano sul luogo dell'incidente. Un TIR era precipitato giù dal ponte della Statale 11, trascinandosi appresso una macchina, che gli era finita sotto, sbriciolandosi. I due fecero i dovuti accertamenti, mentre nel frattempo arrivavano le Ambulanze. Il conducente del TIR fu portato via in pessime condizioni, mentre per l'unico occupante dell'auto non ci fu niente da fare.
I medici dell'Ambulanza e La Porta fecero solo in tempo a sentire le sue ultime, malcerte parole: "Animali ... sfruttati ... uomini ...". Tornato in Caserma, il Vice-Commissario archiviò il caso nel raccoglitore: "Incidenti causa Nebbia - SS.11". E riprese a leggere il suo libro, ripensando all'ultima frase di quel poveretto: "Anche qui parla di animali sfruttati dall'uomo ... che strana coincidenza !".
mercoledì 21 dicembre 2005
Il dolore di vivere
soltanto un po' mitigato
dal sottile piacere
di vivere
accanto a me stesso.
lunedì 19 dicembre 2005
sabato 17 dicembre 2005
Mille giorni senza te
non bastano a dimenticare.
Non serve ripercorrere
le ardue strade
e le cadute,
le emozioni vissute
e quelle nascoste, negate,
forse affogate
dietro la maschera
meno inquietante
dell'amico distante.
Mille giorni senza te
non sevono per cancellare
la tua presenza magica,
le ore mute
e quelle gridate, scaldate,
forse bruciate
dal mio cuore tiranno,
dal quel malcelato affanno,
dietro la faccia
imbarazzante
di un uomo inutilmente innamorato.
martedì 13 dicembre 2005
Un momento
Eppure un sorriso io l’ho regalato
e ancora ritorna in ogni sua estate ...
Ma che la baciai questo sì lo ricordo
col cuore ormai sulle labbra,
ma che la baciai, per Dio, sì lo ricordo,
e il mio cuore le restò sulle labbra.
Forse questo fu amore
tutto chiuso in sé stesso,
forse questo fu dato,
senza l'ombra del sesso.
Col mio cuore che corre
e rallenta se vuoi,
non accetto ragioni
con il senno di poi.
È fra un battito e l'altro
che mi voglio fermare
col mio ritmo sul dispari
per poterti adorare.
Ma per me cosa resta
della corsa del tempo ?
Solo un giorno di festa
un secondo, un momento.
lunedì 12 dicembre 2005
Un giorno dopo l'altro
Un giorno dopo l'altro
senza inseguire il fantasma
di un'emozione
che non c'è e non ci sarà.
Un giorno dopo l'altro,
come dice una vecchia canzone,
la vita se ne va.
mercoledì 7 dicembre 2005
E non comprendo
Che cosa ho sbagliato, che cosa abbiamo sbagliato: sarebbe servita maggiore tolleranza, comprensione ... minore orgoglio, ma soprattutto minori aspettative da parte mia (dall'altra parte non so e non voglio presumere né immaginare).
Mi chiedo se sia stato davvero inevitabile che sia finita così: tutto sommato, non avremmo mai dovuto conoscerci, tantomeno incontrarci. È stata solo un'anomalia del destino, una bolla d'aria nel liquido denso che spinge le nostre ignare e impotenti esistenze verso imperscrutabili tracciati.
Oppure, avrei dovuto impegnarmi di più, e avrei anche dovuto essere maggiormente compreso: un uomo innamorato, ma innamorato davvero, certe situazioni non riesce a sopportarle. Un vero amico, invece sì. E qui si sono scontrate due diverse realtà: quella razionale, in cui l'amicizia era sopra ogni cosa, e rendeva tutto così adorabilmente emozionante, e quella irrazionale, in cui la passione si faceva sofferenza perché era costretta da gabbie inviolabili, perché non trovava quella scintilla di complicità che avrebbe potuto aiutare a superare le sofferenze, stemperandole in un mare di affetto, di consolazione, di pace.
Resto fra questi dubbi, non avendo potere o strumenti per venirne a capo.
I sentimenti, in questo modo, finiscono. I ricordi restano. E col tempo riaffiorano quelli migliori.
Forse è meglio che mi accontenti, anche se non sarebbe da me. Ecco, sono arrivato alla fine di questo vicolo cieco.
giovedì 1 dicembre 2005
L'Amante
la più bella, prescelta fra tante".
La mia amante mi dedica tempo
e altrettanto mio tempo richiede,
non mi lascia da solo un momento,
mi solletica l'ugola, il piede.
Lei s'incanta restando a sentire
mille cose che trovo da dire,
lei m'ispira, mi stuzzica e infine
mi fa scrivere versi in quartine.
Mi emoziona sapere che è mia:
straordinaria, stupenda Poesia.
martedì 29 novembre 2005
Ostinato e contrario
Ostinato tu, e contrario,
a qualsiasi imposizione,
fosse fisica o morale,
anche senza una ragione:
quanto ti ricorderò ...
Ti ascoltavo, ti leggevo,
ti cantavo ad alta voce,
e cercavo di capire
quale fosse la mia croce:
sempre ti ricorderò ...
Così fuori dagli schemi
così anticonformista
hai segnato adolescenze,
ogni lotta una conquista:
resti dentro l'anima ...
Ostinato come sono,
antipatico ed ostile,
contro i miei mulini a vento
al mio fianco ti sentivo:
e ancora ti sento ...
lunedì 28 novembre 2005
Non ti scriverò (rivisitazione)
come le mille e mille che ti ho scritto già:
troppo tempo rimaste ad asciugare al sole,
o messe tutte in quel cassetto là,
dove nascondi altre conchiglie e sassi
che a te la vita inaspettatamente dà.
Non mi leggerai, non farmi sapere
quello che si nasconde nel tuo cuore,
terrai lo sguardo fiero o timido, che vuole
esser capito senza usar parole.
T'amai e non t'amai, sentimento strano,
che a volte lega ed altre volte scioglie,
ora riceve e ora invece toglie,
e non si cura di terrene voglie.
Capire e non comprendersi,
volersi frequentare oppure arrendersi
alle incompatibilità che nella sorte
ci capita di avere ?
Arrendermi, lo sai, non è il mio forte.
Ma questa volta tu fosti più forte.
giovedì 24 novembre 2005
Maneggiare con cura
Potrebbe anche sfasciarsi
con un colpo di vento.
La frenesia dell'oggi,
l'angoscia del domani,
l'oblio di ciò che ieri
sembrava fosse oggi
conduce questo treno
dentro strani binari.
Maneggiare con cura.
Potrebbe anche sfaldarsi
in mille piccole parti.
Costruzione imperfetta,
non cerca perfezione,
chiede un po' d'attenzione,
vuole miglioramento
e partecipazione.
Maneggiare con cura
e prego non aprire:
c'è la mia vita dentro.
mercoledì 23 novembre 2005
Il regalo più bello (per Natale)
vedere quel sorriso
moltiplicato due ... all'infinito.
La pace dentro al cuore,
la pace fra due cuori
e tutto intorno: pace, dentro e fuori !
Che bel Natale sarebbe allora il mio !
E voi che certo mi volete bene
fatemi 'sto regalo,
per favore ...
lunedì 21 novembre 2005
Dimentico
C'e un amore che si incendia
quando appena lo conosci
un' identica fortuna
da gridare a due voci
C'e un termometro dei cuore
che non rispettiamo mai
un avviso di dolore
un sentiero in mezzo ai guai
Cose che dimentico
sono cose che dimentico
...
Qui nel girone invisibili
per un capriccio dei cielo
viviamo come destini
e tutti ne sentiamo il gelo, il gelo
Viviamo come destini
e tutti ne sentiamo il gelo, il gelo
Sono cose che dimentico
...
Non aggiungo altro.
venerdì 18 novembre 2005
Se
a farti sentire
colori, sapori
di come ti vedo.
Se solo potessi
spiegarti a parole
di quello che vivo:
non servon parole.
Mio sogno, mia sola
ed unica stella,
che al buio, di notte
io sento sorella.
Mio grande stupore,
mio gelo, mio ardore,
mia gioia improbabile,
mia donna bambina.
Io ancora ci credo
in questo mio sogno,
ma tu non deludermi
e stammi vicina.
mercoledì 16 novembre 2005
Aforisma d'Amore
serve almeno un complice.
Ringrazio l'amico che me l'ha donato.
martedì 15 novembre 2005
Dirti non so
Dirti non so
come sarà il futuro:
di certo io vorrei
che fosse splendido
per te che sei
la figlia mia adorata.
Ma vorrei che sapessi,
amata sempre,
che mai nessuno e niente
può fermare
le tempeste che agitano
in questa umana vita
il nostro mare.
Sentimenti da adulta
già ce l'hai:
la gioia, la speranza,
anche il timore
di non fare chissà
quale tremendo errore.
Hai negli occhi il sorriso,
e nel sorriso il cuore:
resta sempre così,
senza pentirti,
senza temere nulla:
ci sarò io a seguirti.
Anche se non mi vedi,
non importa:
tieni la testa alta,
tieni la mano ferma
e guarda avanti.
La vita non ti chiuda
alcuna porta.
lunedì 14 novembre 2005
sabato 12 novembre 2005
L'Acqua
sono del 1971, andavo ancora a scuola.
Invano.
Il vuoto.
Un cielo
più bianco
del nulla.
Un'aria
più fredda
del ghiaccio.
Il posto
di foglia
caduta.
Ombrello
forse
scordato.
Aspetta !
Non sono
più in tempo.
Il Letargo.
S'aduna
la polvere verde
del tempo
sul cuore sopito.
Un cielo dorato,
sapore bramato
di un'aria leggera.
Un soffio di vento
riscuote la vita,
l'amore.
L'Alba.
Quando il cielo
s'irradia di rosa
e la terra formicola,
allora si sente
il rumore dell'acqua
distante, lontano.
venerdì 11 novembre 2005
Luci a San Siro
O forse sono io che non ho capito niente. E come nelle nostre infinite discussioni, "lei" aveva già capito tutto, aveva trovato l'unica strada "giusta", perché era l'unica percorribile. Ma io volevo viverli, quei sentimenti, volevo buttarmi e rischiare ... volevo soprattutto stare con "lei", solo con "lei", volevo impararla a memoria, e poi fingere di dimenticarla, e studiarla di nuovo, centimentro per centimetro, e mangiarla, a piccoli morsi, amare tutto il suo "sapore", quello vero, interno, della sua anima, che forse neanche "lei" conosceva.
E invece ero il suo giullare di tastiera e video, la spalla virtuale delle sue avventure e delusioni, a volte lo specchio dei suoi sogni: non mi bastava tutto questo ? Era già un miracolo. Non mi bastava. Volevo andare fino in fondo, volevo entrare in questo sogno e viverlo, senza sognarlo come in uno specchio rotto, ché con i cocci dello specchio ci si taglia, e poi porta sfortuna. Testardo. E cieco. E folle. Mi son tuffato nello specchio. Si è rotto. Ci siamo fatti male. Che importa io ! Le ho fatto male: solo questo importa. E come un assassino mi sono allontanato da luogo del delitto: senza correre, senza un fiato, come se non fosse successo niente. E adesso è tutto finito. Non ricordo più il suo dolce viso, non rivedo più il suo stupendo corpo, i suoi occhi magnetici, non sento più la sua voce vellutata che tante volte mi ha stregato, non ricordo neanche il sottile profumo dei capelli suoi, che non ho mai bagnato di lacrime, come avrei voluto ...
E' come se mi fossi appena svegliato da un sogno, dal più bel sogno della mia vita ... e non c'è più il sogno, resta la vita.
"Luci a San Siro" non ne accenderanno più ...
mercoledì 9 novembre 2005
Ipotesi su una fine cosmica
E si alzarono improvvisi, altri si alzarono all'improvviso.
Non sapevi più dire se era chiaro; infine volò via il fungo del tempo. Il colore, il sapore di uno stare tanto per guardare, un'abitudine superata. E si alzarono improvvisi, mentre altri si alzavano all'improvviso. Il calore, l'odore di un'altitudine separata. E infine si improvvisarono all'improvviso. Forse avevi pensato che era normale; forse credesti che fosse normale. Tutto ciò che è male, è banale. Ma non eri tu: era il vento che ti portavi dentro da lontano. E venne, e passò; e si fermarono gli occhi smarriti, di una luce che più non sapeva la foglia, il fiore, il cielo aperto; e cantarono corde mai vibrate, in quell'aria limpida e fredda, e poi tacquero. Un piccolo piede calcava distese rocciose , e salti, e precipizi; e si perse nel buio improvviso. E vennero, e andarono piccoli piedi leggeri, e si persero. Passavano tutti e, passando, significavano. Fu allora che tu cominciasti a vedere, la terra si mise a salire. Salito, disceso, veloce ed incerto, scivolasti per luoghi di vuoti e di sorde città.
Così, dalle mute origini di un canto inarrestabile, procedevi per gradi, o per gocce di luce; ma vuota era la mèta, e freddi e oscuri furono i passi; ma vuoti erano gli altri, e freddi e oscuri per te risultarono. E l'immobile universo si gloriò di aver suscitato tante piccole sensazioni; e poi l'immutabile universo si pentì di esserne colmo; ma ognuno proseguiva per la sua strada, tutti inventarono una strada. E furono vene, o ferite che solcarono ben presto terre e cieli; e più nessun volo fu permesso. Volare è inutile; inutile parlare.
Guarda lontano: forse scorgi cose interessanti. Intorno a te troppa perfezione, troppo rarefatta percezione. Non c'è più un gabbiano, un'ala. Perfetta predisposizione. C'è un pulsante, un piccolo pulsante apposito. Non è rimasto neanche un gabbiano, una piuma. Svaniti i gabbiani, e le ali, e i cieli; e tutte le fonti di luce sprofondarono in abissi grigi e vertiginosi.
Veloce, veloce, più veloce: e vennero mostruose macchine, e andarono; e vennero silenziose, perfezionate, tremende macchine lucide, e rimasero. Passò un vento forte, le onde vibrarono, le foglie rabbrividirono. Un brivido perfetto, astuto. Passò un vento debole e portò via le ultime ceneri di una bruma spenta e violacea. Cadde l'aria e il vento.
Squarci di corazze brucianti, nel cielo basso oscuri sinistri bagliori; qua e là occhi spenti, invano rivolti alle tenebre; mani ed unghie a confermare la nera terra maledetta. Atomo su atomo, tutto andò separato e perduto; e tutto fu perduto. Quanto tempo perduto, quanto amore perduto, sprecato, buttato, soffocato. E tutto cominciò a fuggire, lontano, sempre più veloce; fuggì il tempo da quell'orrore, fuggì la vita e il sentimento. E per ultime fuggirono le idee, ad inseguire gabbiani, ed ali, e luce, e cieli, e amore che fuggivano.
E quando le idee furono abbastanza lontane, tutto ritornò insieme: ali, gabbiani, il tempo, l'amore, il sole nel cielo ed anche una terra. Fu un ritorno un po' triste. Nessuno si alzò più all'improvviso.
martedì 8 novembre 2005
Che sintomi ha ...
Mi ispiro a questa bellissima canzone (*):
forse fa male eppure mi va
di stare collegato
di vivere di un fiato
...
Non mi tiro indietro, non lo faccio neanche quando fiuto il rischio: perché mai avrei dovuto insistere per conoscere qualcuno, quando avevo già capito che non mi avrebbe capito ... eppure ci ho messo l'anima ! Risultato: ferite, scottature ...
l'affitto del sole si paga in anticipo prego
...
E infatti l'ho pagato, in anticipo e in contanti: essendo me stesso, senza nascondermi, fingere o fuggire. Per oltre due anni. E lo rifarei. Forse lo rifarò, magari con altre persone.
dottore che sintomi ha la felicità
...
Sentirsi al settimo cielo per pochi minuti, lungo un sudicio marciapiede di un'affollata stazione ferroviaria: solo per essere riuscito a guardarla negli occhi e a dirle sottovoce quelle parole.
lunedì 7 novembre 2005
Un filo d'amore
grida
un viola
di onde
e di alghe.
Gabbiani
di porpora
tornano
e ridono.
Estati
e tramonti
già spenti.
Un filo
d'amore.
domenica 6 novembre 2005
Ti ho fatto male
sì ti ho fatto male, sai ...
Non puoi negarlo,
è scritto dentro gli occhi tuoi.
Avrei dovuto allontanarmi allora,
avrei lasciato tutto lì com'era:
il tuo mondo, i tuoi vani lamenti
per aver perso troppe volte i denti
a mordere la vita, cercando la felicità.
Da dove nasca non l'ho mai capito
quel tuo desiderio di negare,
distruggere, annegare
realtà che non desideri ascoltare.
Avrei dovuto allontanarmi e non l'ho fatto:
t'ho fatto male e non mi pento affatto.
Io so perfino mettere il dolore in rima
e tu rimani sola come prima.
venerdì 4 novembre 2005
Tra gli altri
in mezzo agli altri uomini
che ti hanno presa per un fiore
e poi lasciata per un diverso fiore.
Non merito
di restare per te amaro ricordo,
come se avessi rubato
tempo al tuo tempo e risa alla tua bocca.
Non lasciarmi,
se puoi non lasciarmi
soltanto qualche foto senza amore,
soltanto qualche vuoto giù nel cuore.
Non nascondo
che unica per me sei stata e sei:
non nasconderti al suono
di questi ormai lontani passi miei.
giovedì 3 novembre 2005
La Noia
Eccola, non l'ho sentita arrivare ! Come al solito ! Si mette dietro di me, dove non posso vederla: però la sento, la sento molto forte. Respira la mia aria, osserva ciò che faccio, forse pensa.
Starà certo architettando la sua prossima mossa, quella che metterà presto in atto per rendere vano ogni mio tentativo di dare un senso a questa insensatissima esistenza.
Scrivo, e lei mi fa svanire l'ispirazione. Lavoro, e lei mi fa venire in mente: "a che serve questo lavoro ?". Allora sogno: ecco, su quel terreno ancora non si è avventurata. Forse non sa come fare. Forse non può.
Ho provato anche coi sentimenti: niente da fare, lì è bravissima ! Non mi resta quindi che ritirarmi nel mio mondo fantastico, creare personaggi e storie, recitarli e farli "vivere", un po' come fanno i bambini, quando giocano a "io ero l'albero e tu il cavallo". Certo: giocando non ci si annoia. Sarebbe bello trovare qualcuno con cui giocare, ma ... me la cavo benissimo anche da solo.
giovedì 27 ottobre 2005
Tutto
come se non fosse mai esistito.
Piangerai ? io ho già pianto abbastanza,
oppure dimenticherai, credendo
fino in fondo di non aver sbagliato,
di non avermi ucciso, accoltellato.
Tutto finito, morto,
senza pensare a chi ha avuto ragione o torto,
senza poterti accarezzar le mani,
senza considerarci esseri umani,
senza dolore che sta nella memoria,
soltanto brutta fine di una storia.
Fragile ed orgogliosa tu,
troppo deciso io:
rimane il vuoto,
come il rimbombo mesto
di un addio.
sabato 22 ottobre 2005
Passi
Tutto sommato,
sono soltanto anni
della mia vita,
sono soltanto battiti
del cuore
quelli che ti ho donato.
Forse più di così
tu non sapevi
volermi bene
e in fondo
chissà se ti conviene.
Aspetterò che il vento
disperda nella nebbia
il tuo profumo
e l'eco dei tuoi passi.
a tutte le donne che ho amato
e che non mi hanno amato.
giovedì 20 ottobre 2005
Uno conosciuto in Internet
Guarda che differenza: io non ho mai pensato a te, in tutto questo tempo, come ad "una conosciuta in Internet". Semplicemente perché non ti ho mai vista così: per me sei una persona, ma questo concetto di "persona" non sono riuscito, in tutto questo tempo, a farti capire che cosa significa veramente per me. Tu sei un essere umano con il tuo grappolo di pensieri, esperienze, sentimenti, emozioni. Io sono un altro essere umano con altrettanto carico. Condizione diversa è la tenerezza con cui ti ho considerato e il senso di protezione che hai saputo, forse senza volerlo, suscitare in me. Se hai usato quell'espressione, sicuramente non altrettanto conto io nella tua vita, nel tuo modo di viverla e affrontarla.
Le delusioni, come gli esami, non finiscono mai. Se dovessi dare di te una definizione, direi che sei una delle mie più grandi delusioni. Ma non voglio certo confinarti dentro una definizione, non sarebbe degno di me. Resterai là fuori, là dove il tuo modo di essere, e non certo la mia volontà ti hanno ricacciato. Resterai nella nebbia, al freddo. Non sentirò i tuoi lamenti, anzi neanche saprò se sei felice o se piangi. Camminerò frettoloso sul marciapiede opposto, verso la mia casa, consumando la mia vita, senza ulteriormente cercare di intrecciarla con frammenti della tua, senza emozionarmi nel guardare la tua immagine, senza la speranza di poter ascoltare la tua voce, di tanto in tanto. D'altronde, "uno conosciuto in Internet" non può pretendere niente di più, non può sognare.
E' stato bello immaginarti diversamente, sognarti a condividere certe mie passioni, come la scrittura, e vivere le emozioni che ho vissuto. Ma come accade inevitabilmente, la realtà ad un certo punto presenta il conto.
E io resto senza Musa Ispiratrice.
mercoledì 12 ottobre 2005
Il più bello dei mari
Il più bello dei mari
è quello che non navigammo
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l’ho ancora detto.
(Nazim Hikmet)
Il mare che non navigammo.
Ricordi quanto abbiamo fantasticato per quel viaggio insieme ? Tu volevi la macchina scoperta, almeno, visto che la moto non ce la potevamo permettere a causa mia. Avremmo costeggiato la Francia del sud, la Costa Azzurra, e poi saremmo entrati in Spagna, fendendo l'aria dell'Andalusia coi nostri cuori sorpresi a sentirsi finalmente vicini ... Un bel giro su una barca di pescatori, su quel mare che luccica e che invita a sognare, ad allungare le giornate estive ... e che non navigammo.
Il figlio non cresciuto.
Me ne parlasti, una volta, di Chiara, la tua figlia futura, immaginata e destinata ad essere semplicemente bella come la madre. Non c'è ancora, chissà. Avrei voluto fartela crescere dentro più di un desiderio. Ma non è stato.
Il giorno non vissuto.
Ormai lo sai, è quello: il 3 dicembre, quando venni alla stazione, quasi a intercettare il tuo passaggio, troppo vicino a me per non tentare. Furono soltanto sei minuti, vissuti insieme in mezzo ad altra gente. Furono l'eternità di un giorno mai vissuto.
Non te l'ho detto.
Forse sì, te l'ho detto: con voce sussurrata, con parole di poeta, col grido solitario delle mie notti insonni, con questo essere dannatamente me stesso, te lo dico ogni giorno. Non te l'ho ancora detto, non ho avuto tempo: ma il tempo non perdona chi non trova il coraggio di viverlo. Non te l'ho ancora detto, non mi hai permesso di parlare: ma di parole forse non c'era bisogno. Ora è il momento, di dirti ciò che non ti ho ancora detto: "ti voglio bene, tanto".
lunedì 10 ottobre 2005
Siamo tutti Poeti
quando amiamo davvero:
costruiamo universi
con il nostro pensiero,
con magnifici versi
sconfiggiamo la Morte,
imploriamo la Sorte
di lasciarci sognare,
ché di "cielo in una stanza"
non ce n'è mai abbastanza.
sabato 8 ottobre 2005
15 ottobre 2017
Ciao C.
Forse ti starai chiedendo perché ti scrivo questa lettera. Sono passati dodici anni dall'ultima volta che ci siamo scritti: ogni giorno, per più di due anni, erano decine di e-mail fra noi, salvo qualche breve periodo di lontananza.
Ci sono stati momenti di crisi, di profonda incomprensione, incazzature. Ma ci sono stati lunghi periodi di pace, di buon accordo, perfino di amicizia.
Lo dico qui, perché dopo aver letto queste mie parole la penserai diversamente. Non sono parole da amico, quelle che ti sto per dire. Ma neanche da nemico.
Il fatto è che ti ho amato come nessun'altra donna in vita mia. E un sentimento così non finisce in un lampo: semplicemente, non finisce.
Ti ho sognata nella maniera più dolce e appassionata. Diresti che ti ho sognata come non sei, ci scommetto. Ma è proprio questo che non sono riuscito a farti capire. Con la forza del mio amore ho avuto la presunzione di trasformarti in quello che forse non sei, ma che avresti potuto essere. Mi piaceva immaginarmi accoccolato sulla tua pancia a succhiarti dolcemente e crudelmente il seno, come un bambino che assapora il dolce nettare che sgorga dal seno della mamma. Mi piaceva pensare che avrei potuto darti il doppio dell'immenso affetto che desideravi. Avrei potuto massaggiarti quando riposavi dalle fatiche della palestra. Ti avrei osservato danzare a piedi nudi nella penombra della stanza, al ritmo della tua musica preferita. Avrei tuffato i miei occhi nel dolce e aspro colore dei tuoi, ipnotizzandoti d'amore.
Non hai voluto accettare tutto questo. Peggio, non hai voluto capire. Colpa mia, forse, che non ho saputo prendere decisioni diverse da quelle che ho preso.
Oggi i miei figli sono tutti maggiorenni, ed io vivo da solo in un piccolo appartamento mezzo vuoto. E' giusto che sia così, ma è troppo tardi: troppo tardi per ritrovare il mio giusto equilibrio sentimentale, troppo tardi per "rifarmi una vita", troppo tardi per pensare a qualsiasi cosa che non sia semplicemente me stesso, le mie necessità quotidiane, i miei malanni. E qualche piccola distrazione, come la lettura e la musica. Ricordi quante parole abbiamo speso per raccontarci le nostre diverse passioni musicali ? Anche le letture, ma un po' meno. Chissà se poi hai portato a termine quel tuo progetto di coreografia, quel balletto di cui mi mandasti anche una foto. Chissà se alla fine hai trovato quella serenità di sentimenti che disperatamente cercavi, con qualcuno. Non riesco a immaginarti, o forse non voglio più.
Chiudo questa mia inutile ultima lettera mandandoti un caro pensiero, anche se credo che mi odierai più di prima: col tempo, forse, le mie parole ti saranno più comprensibili. Chissà dov'è finito il robottino che ti diedi quel giorno alla stazione ...
Non mi vergogno di firmarmi con una lacrima,
tuo
C.
giovedì 6 ottobre 2005
lunedì 3 ottobre 2005
Non ti dirò
che tengo dentro me.
Né scriverò poesie
da dedicare a te.
Custodisco emozioni,
pensieri e sentimenti:
non voglio condividerli
con chi non sa capirli,
chi dice "non li merito"
perché non vuol sentirli.
Richiudo dentro al cuore
qualcosa di prezioso:
te ne ho già fatto dono
in modo delizioso.
Mi adeguo al tuo sentire
ma non cambio il mio ruolo:
se non mi vuoi capire,
me le canto da solo
quelle dolci parole
che ti furono estranee,
espressione del sole,
frutta mediterranee.
Non ti dirò parole,
né scriverò poesie.
mercoledì 21 settembre 2005
Stanotte
non c'eri tu a riscaldarmi il cuore.
Avevi forse anche tu freddo,
e non potevo io scaldarti il cuore.
Non c'è poesia
non c'è sequenza di parole
che rappresenti il sentimento
che in quei benedetti momenti brucia dentro.
Oceani sconfinati,
oscuri abissi,
altopiani infiniti,
profondi cieli blu:
nessuno d'essi
può contenere ciò che provo,
niente può alimentare
l'assoluto che sento.
Saprai capirmi tu,
che tanta parte
della mia vera vita
ispiri, tu
che sola puoi
vedere in punta di coltello
questa mia anima,
e forse ogni mio eccesso perdonare ?
martedì 20 settembre 2005
lunedì 19 settembre 2005
giovedì 15 settembre 2005
E d'intorno è silenzio
E d'intorno è silenzio.
Nove vite
una vita per coccolarti
nelle lunghe sere d'inverno,
una vita per proteggerti
da chi ti aggredisce, compresa te stessa,
una vita per poter baciare
ogni centimetro del tuo corpo,
una per imparare a memoria
il tuo odore, non quello del bagnoschiuma,
un'altra per tuffarmi
dentro ai tuoi occhi,
una vita per sorprenderti
con mille novità ogni giorno,
una vita per sentirti parlare
senza interrompere,
una vita per leggere i tuoi racconti
che ogni volta m'incantano,
una vita infine, fosse l'ultima,
per amarti come nessun altro.
venerdì 2 settembre 2005
L'Uccello
Mi fermai di fronte al davanzale e istintivamente guardai dentro. C'era una piccola gabbia, nella stanza, con un bellissimo uccello prigioniero all'interno. Non avevo mai visto un uccello così splendido: il piumaggio sembrava avere mille colori, che cambiavano a seconda di come la luce si rifletteva e rimbalzava su di esso. Gli occhi erano scuri con venature rosso fuoco. Il becco grosso, forte. Le zampe saldamente agganciate al suo trespolo, rossicce, con belle unghie.
Mi notò. Cominciammo a scrutarci da lontano, a studiarci. Poi all'improvviso ci venne naturale cominciare a parlarci. In un linguaggio che nessun altro poteva comprendere tranne noi due.
Diventò un'abitudine: tutti i giorni passavo molto tempo a "chiacchierare" con quel magnifico uccello, e non mi accorgevo di ciò che accedeva intorno. Passavano settimane, mesi e stagioni. Cambiava il tempo, ma noi no, quasi tutti i giorni là, a parlarci, io fuori e lui dentro la sua gabbia.
Qualche giorno passavo e lui non c'era, chissà dove l'avevano messo. Altre volte ero io a non poter passare da lui, trattenuto altrove dalla cosiddetta vita di tutti i giorni. Però quelle volte mi mancava la chiacchierata giornaliera con quell'uccello ... non avrei creduto quanto mi mancava ! E non importava se ogni tanto mi beccava per essermi imprudentemente avvicinato alle sbarre della sua gabbia ... avevamo creato un legame affettivo molto forte.
Un giorno gli chiesi di raccontarmi la sua storia, come mai fosse finito in quella gabbia. Stava quasi per piovere, annunciava temporale, e lui cominciò:
---ooo---
Nella prima periferia residenziale della città cominciano a vedersi sempre meno palazzi alti e imponenti, sempre meno uffici e i negozi si fanno leggermente più piccoli, accoglienti e familiari. Si cominciano a vedere sempre più bambini in giro accompagnati dalle mamme attente, ma la vigilanza è leggermente più blanda che al centro. Giardini pubblici, viali alberati, villette a schiera, macchine familiari e buste delle spesa, cani di grande taglia, passeggini, biciclette, giardini curati di una cura maniacali per soli cinque metri quadrati di terra, traboccanti di fiori ma senza odore. Camminando per quei vialetti ombrosi ogni cento metri c'è una panchina dove gli anziani passano oziando le giornate guardando i nipotini giocare in attesa che anche loro non abbiamo più bisogno dei nonni. Panchine come anticamera della morte, una sorta di purgatorio in terra. Potrò bastare la loro attesa in terra?
Camminando per quei vialetti ombrosi la gente si saluta di continuo. Non credo si conoscano, non credo si siano neanche mai visti in vita loro, è il disagio che li fa sorridere reciprocamente e lanciarsi cenni di saluti come se mai avessero passato una serata se non insieme l'uno all'altro, una famiglia all'altra.. E' il disagio di quell'atmosfera che deve trasudare tranquillità e amicizia e serenità, non potrebbero mai essere scortesi l'uno verso l'altro.. Non sotto quell'ombra dei viali puliti e familiari!
La prima periferia residenziale della città si snoda ai piedi della collina attrezzata per i fine settimana all'aperto, con arie da picnic e piste ciclabili fino in cima dove si gode la vista panoramica della città colorata, rumorosa, nebbiosa e concitata.. La sera da quella terrazza si possono vedere le luci della città, i fari bluastri lanciati, il rosso acceso e l'arancio e il giallo su sfondo nero e se la notte è silenziosa si sentono anche i rumori della città, la sua voce. Sulla terrazza panoramica c'è sempre silenzio... la sera è deserta, i ragazzi vanno via non si accontentano di ascoltare la voce della città, vogliono contribuire a crearla quella voce roca e vibrante, vogliono essere una di quelle luci a loro non basta guardarle dall'altro, vogliono essere dove quel faro ha la sua origine non osservare la sua proiezione. Ma la mattina dopo si svegliano ancora nei loro letti, in case silenziose e profumate di caffè al richiamo della mamma che li esorta ad andare a lavoro o a scuola o all'università o dov'altro.. Parlano della sera prima come se fossero state altre persone in altre vite a combattere altre battaglie e costruire mondi nuovi, ma poi tornano a dormire a casa nella prima periferia residenziale della città e a considerare problemi il non avere il parcheggio nel vialetto di casa!
Nella prima periferia residenziale della città un giorno è passato uno stormo di uccelli migratori. Piccoli e resistenti, di una bellezza che andava altre la visione del bello, fieri e così attaccati alla vita da risultare impensabile che potessero morire. Il loro canto rischiarava la mattina ed era allegro e alto e forte da risultare impensabile che potessero essere tristi. Erano uccelli migratori che vivevano il cielo e non avevano paura di cambiare posto e abitudini, erano uccelli migratori di quelli che non si avvicinano all'uomo, che lo tengono a distanza, che non disdegnano di beccare le briciole di pane, ma con orgoglio quando l'uomo è andato via, senza paura, senza dolore, senza necessità. Erano uccelli da guardare andar via... Erano uccelli di cui non ci si poteva innamorare era nella loro natura andar via.
Uno di loro, il più bello forse, il più curioso senz'altro si allontanò dagli altri quando arrivarono nella prima periferia residenziale della città... La trovava bella, a tratti sicura, così confortevole, e lui era stanco di dover sempre combattere per la vita, di doversi svegliare ogni mattina e di non sapere dove fosse, ed era stanco di dover andar via e di non essere mai amato. Trovò bella la prima periferia residenziale della città tanto che si avvicinò alle finestre delle case curare e colorate e guardò dentro. Ma dentro non era bello come fuori, la nebbia e l'oscurità, il freddo e il silenzio, il silenzio, il silenzio, il silenzio anche nelle parole... non era come il guscio esterno quello che vedeva dentro...
Via.. doveva andare via.. al più presto .. che brutta visione, l'avrebbe accompagnato per sempre.. per sempre l'avrebbe avuto davanti agli occhi, una tale bruttezza, una tale mancanza di sentimenti, una tale vacuità... Doveva raggiungere gli altri veloce, il più veloce.. Scappare via..
Nella prima periferia residenziale della città una mattina fu trovato un uccello bellissimo, di una bellezza che andava altre la visione del bello, era un uccello migratore piccolo e resistente.. Si era incastrato in una di quelle retine antizanzare davanti ad una finestra.. Era li incastrato che tentava di volar via con tanta forza strattonava che era riuscito a rompersi un ala.. Ed ancora urlava e strattonava con quanta forza aveva in corpo. Se non lo avessero liberato si sarebbe strappato un ala pur di andare via, lontano. il più lontano. Ma via, piuttosto morto, ma vero!!
Il padrone di casa lo liberò dalla retina, ma non lo avrebbe mai più liberato. L'uccello immagino il meglio, quell'uomo lo avrebbe curato e mentre lo nutriva intono il miglior suo conto per gratitudine, un canto da far innamorare. E si innamorarono di lui! E lui li amo. Pensava che avrebbe sentito la loro mancanza quando sarebbe andato via. Ma non gli era permesso andar via. E lui non amò più!
Nella prima periferia residenziale della città in una casa dal guscio luminoso e allegro adesso, appeso al soffitto c'è una gabbietta, proprio li davanti alla finestra protetta dalle zanzariere. Nella gabbia un uccello, di una bellezza che va altre la visione del bello. Quell'uccello ha un ala spezzata, il suo nuovo padrone ha trovato il modo per non farlo scappare non curandogli mai quell'ala perfettamente in modo che non potesse riprendere il volo. Appeso a quel soffitto l'uccello non canta più e tutti si chiedono il motivo, quando l'hanno trovato cantava così bene che ormai si erano abituati a sentirne l'allegro cinguettio.
<< Ma perché; quell'uccello non canta più, eppure prima lo faceva così bene! Che peccato.. starà morendo!! Però che ingratitudine, dopo tutto quello che abbiamo fatto per lui. Lo abbiamo salvato dalla rete, lo abbiamo nutrito, lo abbiamo pulito, lo abbiamo tenuto al caldo. Ogni giorno gli abbiamo aperto la finestra perché; potesse veder fuori. a volte abbiamo persino tolto la zanzariera in modo che potesse vedere i colori.. Che ingrato!! >>
Nessuno più si innamorò di lui.. ma non si dovrebbe amare chi non vuole essere amato, chi ha per sua natura l'istinto di andar via. L'unico amore che avrebbe potuto accettare era la libertà, allora avrebbe amato per sempre.
Nessuno più si innamorò di lui.. ma nessuno lo liberò mai. E lui non amò più.
---ooo---
Era ormai tardi. Stava piovendo forte. Volai via senza dire una parola, tornando al mio nido solitario e pensoso, come solo gli uccelli selvatici sanno fare.
mercoledì 31 agosto 2005
Buonasera, dottore.
"Buonasera: si accomodi". Mi accoglieva sempre con la stessa immutabile, rassicurante frase. Probabilmente usava la stessa cortese espressione con tutti i suoi pazienti, o "clienti", come amava chiamarli.
"Dottore, ho capito". Cominciai a parlare, perché sentivo che avrei dovuto parlare. "Ho capito qual è il mio problema: non sopporto il cambiamento, qualsiasi tipo di cambiamento. Mi dà fastidio perfino dover cambiare strada nel quotidiano tragitto casa-lavoro, a causa dei lavori stradali. Mi dà fastidio annotare un numero telefonico variato. Mi dà fastidio mangiare cose troppo diverse da un giorno all'altro. Soffro per un lavoro che mi porta periodicamente a cambiare ambiente. Lo so, molte persone mi invidierebbero: la monotonia non è vista come una condizione ideale. Però a me innervosisce dover affrontare problemi sempre nuovi, grandi o piccoli. E pensare che da giovane sono stato un pioniere, un apri-pista in molte occasioni. Ma adesso, no: adesso basta. Adoro i treni che corrono sui binari e non hanno molte possibilità di dover decidere dove andare ! Vorrei i giorni sempre uguali ... per illudermi che il tempo non passa, per rubare un po' di eternità ! Ma un pezzetto circoscritto di eternità non ha più nulla di eterno: questa è una contraddizione, basata su un'illusione. Se tutto ciò che il nostro sguardo abbraccia è deserto, siamo portati a pensare che tutto il mondo sia deserto. Sembra che io le stia facendo una lezione. Lei, dottore, queste cose le sa molto meglio di me. E ne resta immune. Io invece non vorrei neanche cambiarmi d'abito. Camminare mi provoca un leggero senso di vertigine: figuriamoci spostarmi in macchina. A casa si è rotta la presa dell'antenna TV: che c'entra ? Ho dovuto cambiarla. Quest'anno non sono andato al mare nello stesso posto dell'anno scorso: ho dovuto cambiare i miei passi consumati, che mi portavano al giornalaio, poi al bar, poi in spiaggia. Un'altra spiaggia, un altro tramonto. Che orrore ! Stavo male anche in altri tempi quando le ragazze stavano con me solo una settimana o due: ogni volta cambiare nome, sentire altre mani, un altro odore, altri capelli. Molti miei amici mi invidiavano. Io mi sentivo perso. Tutte a saltarmi addosso per il sesso, nessuna che abbia saputo 'leggermi' davvero. E' per questo che scrivo: ogni tanto mi prende il demone della scrittura, e le dita corrono veloci sulla tastiera, mai troppo veloci per fissare i pensieri, la vita che mi ribolle dentro. Per fortuna cambio raramente il computer che uso per scrivere. L'ultima volta è stato un disastro: non sentivo più la giusta pressione dei tasti, mi uscivano parole mozze, storpiate ! Dovrei cambiare modo di vedere la vita, la mia vita ? Preferirei evitare questo cambiamento. Ho visto cambiare mode più veolcemtente delle stagioni: nessuno più dice 'pronto', rispondendo al telefono. Dopo un frettoloso 'ciao', si chiede subito 'dove sei ?', perché il cellulare ha tolto anche quella semplice certezza di chiamare una persona in un determinato luogo di casa sua. Odio cambiare canale, le rare volte che guardo la TV. Non ci sono più appuntamenti fissi, a parte forse il film del lunedì e qualche partita il mercoledì. Neanche quelle sono più sullo stesso canale dove potevo trovarle l'anno scorso. Dettagli, particolari insignificanti. Perché devo impegnare le mie già scarse capacità intellettive a rincorrere dettagli che cambiano alla velocità del vento ? Dottore ..."
"Sì, mi dica !" la sua voce era calma e ferma.
"Da chi andrò a farmi curare quando Lei si ritirerà in pensione ?"
lunedì 29 agosto 2005
Extrasistole
un cuore che inventa i suoi battiti,
rallenta,
riprende la corsa,
volteggia sui pattini.
Paesaggi stupìti,
non manca la voglia di palpiti,
fermarsi
e poi rituffarsi:
un'altra extrasistole.
giovedì 25 agosto 2005
Gli arcobaleni del cuore
per cercare di confondermi la mente.
Quante ghirlande fatte di parole,
allacciate alla vita, prepotentemente.
Quanti ricordi, quante sensazioni
e quante impercettibili emozioni.
Respiro, ascolto, stringo forte gli occhi,
non sento che mi tremano i ginocchi.
Il nome tuo contiene tutto questo
ed altri mondi ancor che non riesco,
nel vago turbamento di colore,
a riempire con tutto questo amore.
domenica 21 agosto 2005
Entropia
che tutto prendi
e tutto butti via,
smetti di assorbirmi tutta l'energia,
lascia in pace questa vita mia.
Tu che fai scadere
l'elettricità in calore,
tu che per farci tornare in vita
chiedi lavoro, generi dolore.
Entropia,
regina dei buchi neri,
imperatrice di mille misteri,
lascia trovare pace ai miei pensieri.
Tu che fai degradare
spesso l'amore in sesso,
tu fammi tornare a credere
che ancora sia possibile: vivere.
giovedì 18 agosto 2005
Gocce di sangue
Dopo che la spina ha lasciato il suo segno, l'Esperimento la teme.(Il Diario di Eva - Mark Twain)
Goccia di sangue dal dito:
dolore che punge, di sangue soltanto una goccia.
La rosa può pungere: fa male far male ?
Ne piange, la rosa, di questo dolore ?
Oggi ho imparato una cosa:
dovrò rispettare la rosa.
Chissà se ha imparato, la rosa,
da quel mio dolore qualcosa.
venerdì 12 agosto 2005
Ferragosto
In quel momento, squillò il telefono. Non aspettavamo chiamate: una scocciatura proprio a Ferragosto ?
Non ricordo la voce, credo fosse mio padre, o suo cugino: "Mamma sta male" disse solo "la portiamo all'ospedale di B." e riattaccò. Il tempo di bere un po' d'acqua, mettere in bocca un pezzo di pane, vestirmi al minimo ed ero già in macchina. Quel posto era lontanissimo da casa, bisognava attraversare tutta la città e poi addentrarsi per le campagne a nord. Mi fermai un paio di volte a chiedere la strada: a Ferragosto sembrano tutti spaesati, spauriti, diffidenti. Senza sapere bene come, arrivai in vista dell'ospedale. Scesi dalla macchina, e vidi il cugino di mio padre venirmi incontro con una faccia che non lasciava dubbi.
Sentii all'improvviso cadermi addosso una stanchezza, un caldo, come se il mio corpo mi avesse abbandonato e fossero rimasti solo gli occhi a darmi un po' di contatto col mondo reale. In certi momenti ci si chiede davvero che cos'è il mondo reale.
Lei era lì, stesa sul marmo, bianca come il marmo. Sembrava la statua di sé stessa. Sembrava perfino più piccola. E invece era la più grande, senza dubbio la più importante donna della mia vita, poiché mi aveva dato la vita. Quanto era stata capace di farsi odiare, per aver troppo amato ! Quanto era stata vittima del prossimo, comportandosi al di sotto delle sue reali possibilità ! Quanto si era agitata, per far andare le cose com'era giusto che andassero, perché lei lo sapeva che cosa era giusto, ma non sapeva convincere gli altri. Quanto aveva scommesso su di me, unico figlio, e quanto non si era resa conto di aver vinto, in parte, e quanto aveva perso ! Avrei dovuto fare il medico, secondo lei: chissà magari sarei riuscito a guarirla di tutti i suoi mali, veri o presunti. Perché quando si è convinti di essere malati, si è più malati dei malati veri.
Adesso lei era lì, e qualcuno le aveva chiuso gli occhi, non io. Assente ingiustificato. Mio padre fuori dal mondo come al solito, incapace di starle vicino fino alla fine. E io dov'ero ? Ad occuparmi della mia famiglia. Come se bastasse dar da mangiare a due bambini piccoli per occuparsi della famiglia. Troppo orgoglioso per perdonare, troppo introverso per riuscire a comunicare con una donna che mi stava dando troppo, in modo che credevo sbagliato, quasi come mia madre.
Alla fine, l'uomo della macchina nera disse che faceva troppo caldo, dovevamo andare. Il corteo di poche auto si mosse verso il paese. Non so come e perché, io ero da solo nella mia macchina. Sulla discesa c'eravamo soltanto noi: vidi la fila di macchine avanti a me, capeggiata da quella lunga e nera. Fu allora che scoppiai a piangere, come non avrei mai immaginato. Fu allora che compresi che lei non c'era davvero più per me, per nessuno: era davvero tadi, troppo tardi.
mercoledì 10 agosto 2005
Bellezza
Cadono anche a Berlino, le stelle, stanotte ?
Per me, stelle, luoghi, anche di insana bellezza
non si confrontano con la tua inarrivabile,
concreta e virtuale, ritrosa e visibile,
assoluta incontrastabile
oscenamente perversa verginale
bellezza.
Cadono stelle, stanotte:
esse non odono i miei desideri
rincorrere segretamente
attrazioni senza domani,
sfiorare di mani,
contatti di labbra,
matite degli occhi a seguire leggere
contorni di un corpo,
confini di un'anima-contenitore
di quella struggente bellezza.
Cade la notte, stanotte
e non vede, nel buio del cielo,
non vede in coda alle stelle che cadono,
non vede non sente non cerca bellezza:
perché in nessun luogo è il suo luogo,
perché inarrivabile, strana, impossibile,
irresistibile sei, mia bellezza.
Romeo e Giulietta: prima parte - Romeo
Romeo era un tipo idealista: un idealista disincantato, ma pur sempre poco attratto dalle cose pratiche. Fin da ragazzo, credeva nell'amore o forse nell'Amore .. ma a che serve stare a sottilizzare sulle maiuscole ! Sognava di incontrare un giorno la ragazza dei suoi sogni: perfetta, non dico fisicamente, quello non gli interessava. Perfetta per andare d'accordo con lui, anzi: d'amore e d'accordo. Così la immaginava. Poi, che fosse bionda, bruna, alta, bassa, magra, grassa, con o senza occhiali .. non faceva differenza. Anzi, era curioso di scoprire dentro quale corpo si sarebbe celata la ragazza dei suoi sogni.
Andò avanti con una certa impazienza, perché impaziente lo era un bel po', soprattutto sulle cose a cui teneva maggiormente. A sedici anni ebbe una storia con una ragazza di quattordici: all'inizio, gli sembrava di aver già raggiunto il suo obiettivo, pensava che sarebbero potuti restare insieme "per tutta la vita". Che bello sarebbe stato donarsi l'un l'altra ogni giorno, quasi come quando prendevano un gelato in due, leccandolo a turno. Anzi, meglio ! Niente avrebbe potuto scalfire la loro felicità: neanche la tintura dei capelli che lei aveva voluto provare perché era stufa di essere una "bella mora", piccola follia che lui aveva assecondato con un sorriso, pensando: "cambia, cambia pure il tuo aspetto, il mio sentimento non cambia, perché quello che io ho visto in te sta molto, molto più in profondità". Finché lei lo lasciò, non perché non lo amasse più, ma "perché voleva provare altro". Lui ci rimase molto male, anzi si ammalò davvero. Ma non rinunciò al suo sogno. Infatti dopo qualche mese guarì nel corpo e maturò nello spirito.
Qualche anno più tardi, sfiorò la felicità senza riuscire a capire se quella ragazza piuttosto bruttina e insicura avrebbe potuto essere "la sua". Travolto da eventi esterni su cui non potè influire, la perse di vista e a vent'anni "lontano dagli occhi, lontano dal cuore". Restò solo un dubbio, un rimpianto.
Passò ancora del tempo. Ormai considerava la sua solitudine una speci di prezzo da pagare per il raggiungimento, un giorno, del suo sogno dorato. Incontrò un'altra ragazza, assai particolare. Fece colpo, come al solito, senza rendersene conto. Però quella volta fu più tenace dell'avverso destino e finse, perfino, pur di andare a fondo in una storia che non voleva cominciare. Seguirono nove lunghi anni di intensa passione, ma anche di rabbia, di incomprensioni, di inutili litigi. E di tenerezze infinite, troppo grandi per non ritardare una soluzione finale fin troppo scontata. Ma era chiaro che non poteva essere lei, la donna dei suoi sogni.
Di nuovo un paio d'anni di inutilerie, di vicoli ciechi, di autostrade sorde, di capocciate nei muri, di poesie bruciate al vento, di sottili illusioni e brucianti delusioni.
All'improvviso, nella calma di una sera, nella serenità ritrovata dopo tanto aver penato, eccola: luminosa, come trasparente, brillante ma non sfacciata, sicuramente fuori del comune. Fu subito Amore, fra Romeo e Giulietta. Forse poteva sembrare che le circostanze, il destino, avessero tramato uno scenario romantico di tutto rispetto: i Navigli, quella mansarda in centro, l'estate che non voleva finire. Nei mesi e gli anni che seguirono, Giulietta e Romeo furono anche conforatati da quelle stupende difficoltà che rendono ancor più appassionante una passione già ben accesa: la lontananza, la clandestinità di lei rispetto al suo ambiente di origine. Doversi in qualche modo nascondere, e in più non essendo Romeo esattamente il tipo d'uomo che piace alle madri delle ragazze immacolate, davano al loro rapporto qualcosa di eroico, una piccola spinta trasgressiva in più.
Romeo, col passar degli anni, non aveva cambiato il suo punto di vista su Giulietta: era lei la sua Giulietta, senza ombra di dubbio.
Ma Giulietta ? Che sentimenti si agitavano in fondo al suo cuore ? Che cosa stava cambiando nella sua vita, e non solo in senso pratico, ma più nel profondo ? Stava forse scoprendo terreni nuovi, una parte di sé del tutto inesplorata ..
giovedì 4 agosto 2005
La Grammatica dei miei sentimenti
di un'infinita attesa:
imperfetto indicativo
di un futuro condizionale !
Il passato è prossimo,
ma il dolore è presente.
Congiunzioni soltanto formali
compongono un periodo
di soggetti, nomi propri, pronomi
del tutto impersonali.
E coniugo i miei verbi
pensando all'infinito.
mercoledì 3 agosto 2005
Triste realtà
Replica
il mio pensiero e l'alito ?
Dove non so mi addentro,
senza cambiarmi d'abito.
Sono piuttosto allergico
ai furbi metaforici,
agli esibizionisti afoni
con fini problematici.
Muovo le mie pedine
rimanendo pedina,
o forse mi nascondo
nel mio esser regina.
Non sempre la potenza
si usa per uccidere.
A volte serve forza
per ritornare a ridere.
Per ritrovarsi e vivere.
lunedì 1 agosto 2005
Via
So che ci sei, so che cosa provi per me: dovrebbe già bastarmi. Però un paio di giorni (e di notti) con te non sai quanto li desidero. E non pensare che sono il solito vecchio porco che vuol farsi una scopata con la ragazzina. Perché lo sai che non sono un vecchio porco. E tu non sei una ragazzina. E soprattutto non è una scopata che vorrei fare con te. Nè due, né mille.
Mi manchi fisicamente, da quando so che esisti. Non l'hai ancora capito. O forse sono io che non capisco. Forse hai ragione tu a negarti, a restare a debita distanza. Già troppe volte si è distorto e scardinato il binario del Destino, che ci voleva ignari uno dell'altra. Chi non sa, non soffre.
Mi manchi. E forse questo è proprio il senso del tuo essere per me: rappresenti l'assenza, tutto ciò che non ho avuto e non avrò.
Mi manchi e ti voglio. Mi accontenterò di qualche messaggino, di qualche e-mail. Sarò calmo e pacato, come al solito. Magari ti darò buoni consigli, ti starò a sentire, leggendo parole digitate in fretta, su fondo bianco.
Mi manchi, ti voglio e ti sento dentro di me. Hai il potere di sconvolgermi e di farmi sentire vivo, in trepidante attesa. Di te. Di tutto il tuo essere. In questa vita sono costretto a passare attraverso il corpo, i nostri due corpi. Cosa che tu rifiuti.
Tu sei più avanti di me, tu punti a un'altra vita e fai che in questa ci sia fra noi soltanto l'ombra di ciò che potrebbe esserci e non deve. Tu sei l'angelico demonio che mi tiene in pugno, eppure non mi stritola, benché potrebbe. Io sono il disperato schiavo del nulla, forte e monolitico, impotente di fronte alla tua forza. Vincitore e vinto.
Perché ti ho conosciuta, son vincitore. Scendendo in corsa dal mio treno ti ho fatta scendere dal treno che ti avrebbe portato via tangenzialmente a me. Ci sono robottini che si installano nel cuore, nella parte profonda, più segreta e perciò più amata.
Perché siamo lontani fisicamente, sono vinto e sconfitto. Non c'è soluzione, non c'è combinazione che possa riportarmi a te in questa vita mortale. Così è mortale veramente saperti là, io qua, gettarti fra le braccia di chi probabilmente ti farà felice. Non io.
Che sentimento è questo ? Dire non so. Meglio viverli, a volte, i sentimenti.
mercoledì 27 luglio 2005
Il colore degli occhi
azzurro chiaro, perso nel cielo
di quella coperta, che la tenera mano
nodosa di mia nonna pose a protezione
di quella nuova vita, mia.
Nuvole hanno il potere di virare in grigio
quel diafano mutevole colore,
per la sorpresa di chi guarda e per il canto
di anima triste quando il cielo è triste.
Splendono gli occhi miei mentre li tuffo
in mille e mille di altri colori occhi,
a cercare qualcosa che di comune
sia, nell'altrui umanità e nella mia.
Aperti e vigili saranno ancora e lampi
distribuiranno a chi vorrà vederli,
e a questa fonte abbeverarsi
l'anima stanca di fingere e mentire.
Occhi di azzurro chiaro accesi
a cercar in tutti gli altri occhi
i colori che Amore e Vita
godono insieme.
venerdì 22 luglio 2005
Addio amore addio
ti dedico un pensiero tutto mio.
Non c'è bisogno
di alcuna spiegazione,
perché non c'è ragione.
E niente cambierà
nell'apparenza delle cose:
non cambierà il colore delle rose.
Tu resterai goccia nel mare
di tutte quelle donne
che non mi han voluto amare.
Tu resterai.
Io vado, ché di restare ormai
non posso più e non credo.
Ti immaginai diversa,
unica stella nel buio circostante:
ed ora scopro invece
quanto mi sei distante.
Non c'è colpa o dolore,
soltanto resta
un sentimento tutto mio:
addio amore addio.
martedì 19 luglio 2005
Come un torrente
nella stagione estiva
sono rimasto:
senza parole.
Arida distesa di sassi,
i miei pensieri rotolano
soltanto se una lepre
salta a fuggir lontano,
o se un furtivo serpente
di idee cattive striscia
nella mente ormai
senza freni, stanca.
Torna il tormento
di non saper restare né andare,
l'ansia di prendere e lasciare,
memoria e oblio,
tortura ed ozio
di un controverso "io".
Come un torrente
nella stagione estiva:
senza acqua né vita
apparente.
lunedì 18 luglio 2005
Premiato
L'amore non esiste
pubblicato su
venerdì 15 luglio 2005
Il mio babà
i miei versi
in uno stampo
bene imburrato,
raffinato,
educato.
Lascio lievitare
emozioni, sentimenti,
sensazioni:
fino a riempirne l'aria.
Cuocio nel forno
ben caldo d'amore,
sforno ..
e servo al lettore.
Spolverizzate i commenti
e voilà !
La mia lirica
sembra un babà.
Il nostro film
Fast-Rewind. Play.
Certo, chiuderei gli occhi sulle scene brutte, quelle delle incomprensioni, dei litigi a distanza. Ma non su quelle delle discussioni per telefono: la tua voce ha per me un significato magico. Anche quando sei arrabbiata con me. Ancora di più quando sei sorpresa: una sola volta, forse, ti ho veramente sorpresa al telefono. Stavi spremendo le arance. E' stata bellissima, quella chiacchierata. Anche le altre. Poche, troppo poche. Forse troppe, per me che non ricordo più perfettamente. Non riesco ad esprimere ciò che vorrei: non ci sono parole. Ti ho detto che ti riconoscerei fra mille ragazze vestite come te. Non è vero. Ti riconoscerei fra sei miliardi: sei una, in tutta l'umanità. Non ti ho cercata, non mi hai cercato. Sei entrata nella mia vita come una Cometa entra nell'orbita del Sole. Vorrei riuscire a far brillare la tua "coda" come il Sole fa con la sua Cometa. Altri pianeti si disturbano reciprocamente le orbite.
Stop. Rewind. Stop. Play.
Non so quasi niente del tuo corpo. Non mi serve. Nessun'altra mi piace come mi piaci tu. E non chiedermi perché. Ripensavo, ripenso. Due anni e qualche mese sono niente, confrontati con tutto il tempo che ho vissuto.
Pause. Play.
Ti ho odiato ? Certo, fra i miei sentimenti per te, c'è stato anche l'odio. Non ci si può fidare veramente di una persona se non la si è osservata mentre dorme, dicono. Io dico anche che non si pùò voler veramente bene ad una persona se non la si è odiata almeno una volta. Le nostre diversità non ci hanno mai diviso. Nemmeno l'incompatibilità di carattere c'è riuscita. Non durerebbe due giorni, la nostra unione. Eppure siamo "qui", siamo "adesso", siamo "ancora". Forse l'avverbio giusto è "nonostante". Ognuno per la sua strada, perché è proprio quello che ciascuno di noi si aspetta dall'altro. Siamo liberi di non volerci bene, e perciò non smettiamo di volercene. Sarebbe più comodo, per entrambi, non esserci mai conosciuti. Ma sarebbe molto meno piacevole.
Ho riletto anche le tue immagini, quelle che mi hai mandato. Voglio dirti che c'è una parte di te, del tuo corpo, che mi fa davvero impazzire. Non indovineresti qual'è. Non ne abbiamo ancora parlato. Ma non te lo dico adesso, voglio farti morire di curiosità. Sai essere curiosa in un modo stupendo, innocente, come una bambina. Voglio godermela ancora, la tua curiosità.
Ripensavo.
Chissà se riesco a farti fare cose che altrimenti non faresti, cose che con altri non faresti. Non sto pensando a nulla in particolare: qualsiasi cosa. Fra tanti particolari che ho purtroppo dimenticato, una piccola frase invece non dimentico, e forse dà un senso a tutto questo: mi hai detto che sono stato "il primo, il primo e l'unico", e tu certamente ricordi di che si trattava.
Ho perso il treno, quella volta. Avrei dovuto salirci, invece. O al massimo, avendo fallito il compito, farmi stritolare dalle sue ruote, quando è ripartito. E invece neanche questo. Chiamami vigliacco, impotente, cieco e sordo. Chiamami saggio: un uomo saggio non si mette a sconvolgere la vita di una fanciulla innocente. Purtroppo. Chiamami pazzo.
No, non chiamarmi in nessun modo, perché non sono né vigliacco, né impotente, né cieco, né sordo, né tantomeno saggio. Pazzo forse sì. Ma faccio finta di non saperlo. Potrei impazzire per una gonna gitana tenuta in vita da un foulard morbido, per un paio di sandali con i lacci "da schiava" che salgono a legarsi sui polpacci, per un top corto che scopre un po' l'ombelico, se fossi tu ad indossarli. Per i tuoi capelli legati dietro, a formare la coda di una Cometa. Perfino per i tuoi occhiali, e non lo sai il motivo. Sono tutti simboli di te, della tua persona, della tua anima. Non so niente del tuo corpo. Non mi serve. Non mi basta. Non fermarti alla superficie del mio. Voglio darti molto di più. Prima che sia troppo tardi.
Adesso mettiti in posa per me, che finisco di registrare il nostro "film", con la videocamera del mio cuore.
Rec.
mercoledì 13 luglio 2005
Scimmia
scimmia che guardi stupita
quei pallidi schermi rimasti
a fare da specchio a questa partita,
al mio tentativo imperfetto,
a questa mia voglia infinita
di mettere in chiaro
che cos'è la vita:
che pensi, che scrivi, che cerchi con gli occhi ?
Hai forse qualcosa, stasera,
per farmi tremare i ginocchi ?
Hai qualche risposta a mille domande,
hai forse una cura, hai forse le bende
che sappiano il grido di questo dolore
ridurre ad un gemito, a un breve malore ?
Fa' presto, più in fretta
a curar le ferite !
La vita, lo sai, non aspetta.
martedì 12 luglio 2005
Panni al sole
su fili di parole:
magliette scolorite,
calzini spaiati,
mutande trasandate
come amori consumati.
Stendo i miei anni
gocciolanti di affanni,
e s'alza un venticello
che tutto asciugherà,
lasciando fra le corde
un vuoto di ricordi.
lunedì 11 luglio 2005
L'amore non esiste
Chissà come, gli venne di pensare all'anima. E con l'anima i suoi pensieri scivolarono nel passato.
La sua "anima gemella" l'aveva davvero conosciuta, molti anni prima, in quella specie di paradiso terrestre dove aveva lavorato: si chiamava Rosalia, e veniva da lontano, da un paesino pugliese di tradizioni albanesi (almeno, questo lei gli aveva raccontato). Erano stati bene insieme: non c'era bisogno quasi di parlare, fra loro. Ogni cosa che uno dei due pensava o voleva, all'altro sembrava di saperla nel momento stesso in cui stava per essere espressa: come una continua telepatia. E la stessa cosa accadeva coi sentimenti. Tanto che fu lei a prenderlo per mano, una sera, e portarlo con sé per le strade semibuie e deserte, spiegandogli perché non poteva vivere con lui quell'amore che lui non aveva ancora avuto il coraggio di dichiararle. Lui aveva già capito, mentre lei parlava e tristemente ma affettuosamente dichiarava il suo "no". Definitivo come una pietra al collo. Pochi giorni dopo era il compleanno di Rosalia, e lui le regalò un bellissimo puzzle del loro segno zodiacale, con la dedica: "Così potrai divertirti a rimettere insieme i pezzi dell'Ariete". Lei ne fu molto contenta, tanto che gli diede, di nascosto, un bacio. Dopo qualche settimana lei andò a vivere in un altro posto, e si persero di vista.
Un'altra anima, questa volta un'anima dannata, l'aveva invece incontrata ancor prima, all'Università. Era appena arrivato a Milano e non conosceva ancora bene l'ambiente. Ai primi banchi, fra quelle altre "secchione" che prendevano freneticamente appunti, aveva notato una ragazza diversa, alta bionda, occhi azzurri, con una voce profonda (sembrava Patty Pravo), che la gang dei maschi che lui aveva cominciato a frequentare chiamava "Ezechiele Lupo". Si fece coraggio e diede un appuntamento a Ezechiele Lupo. La quale accettò. Fu un disastro. Riuscirono a fraintendere persino il luogo dell'appuntamento, e il giorno dopo si scagliarono l'uno contro l'altra in una furibonda litigata per i corridoi dell'Università. Fu l'inizio di una lunga storia, che sarebbe durata nove anni, fra momenti di intenso amore, terribili incomprensioni e litigate, indimenticabili incontri di sesso, e un matrimonio. Per fortuna, non ebbero figli.
Zwirna poteva invece metterla fra le "anime perse". Andava da lei quando aveva voglia di sentire la sua dolce voce, o semplicemente di stare in silenzio ad ammirare il suo bel profilo, il suo corpo snello, quasi senza seno, e i suoi occhi chiarissimi. Chissà perché lei si toglieva sempre le scarpe, quando era con lui. Forse era un'usanza delle donne ukraine. All'improvviso sparì dalla sua vita e non ne seppe più niente.
Immerso in questi pensieri, era già arrivato al promontorio. Cominciò a salire, per il sentiero che si arrampicava fra la macchia mediterranea. Terra e sassi presero il posto della sabbia, e ben presto i suoi sandali si rivelarono un vero impedimento al suo sudato procedere. Non pensava a tutto quello che si stava lasciando alle spalle. Guardava in alto, nel cielo. Non sentiva la fatica della camminata, né il dolore ai piedi. Come se lo aspettasse una mèta. Il ronzio lontano di un aereo lo distrasse per un attimo.
"L'amore non esiste" continuava a ripetere dentro di sé. "Se esistesse, ne avrei visto almeno un piccolo indizio, in tutta la mia vita. Da giovane, come tutti i giovani, speravo che l'amore avrebbe riscaldato i miei giorni. Quando diventai più grande, nonostante avessi ormai accumulato parecchie delusioni, speravo ancora di poterlo incontrare. Una sera, alla festa di Luigi, credetti che l'amore fosse finalmente entrato a dar fuoco alla mia vita: quando ormai non me lo aspettavo più". Continuava a camminare, con passi svelti, quasi feroci, incurante della strada che continuava a salire. "Chissà perché proprio lei doveva mentire. Perché avrebbe poi rinnegato tutto l'amore dichiarato, di cui mi aveva a fatica convinto. Io scettico. Io cieco. Prima, durante e dopo".
Arrivò a quella svolta, salì in cima alla roccia. Quante volte si era rifugiato lassù, da solo, coi suoi pensieri: il mare si apriva là sotto, il rumore delle onde non riusciva a sentirlo, ma vedeva la bianca schiuma formare strane geometrie sull'acqua. Guardò un'ultima volta il cielo, non esitò un istante e saltò giù.
Il giorno dopo trovarono il corpo di un uomo sulla cinquantina, sfracellato sulla scogliera: portava ancora indosso una maglietta, un paio di pantaloncini grigi e un costume blu, a slip, molto demodé. Nessun documento. In una tasca dei pantaloncini, solo un foglietto a quadretti su cui era scritta una strana frase: "L'amore non esiste".
venerdì 8 luglio 2005
Il Grande Mirtillo
Ma ho divagato, sto parlando dei romani e non di te. C'è ancora la Roma variegata dei diversi quartieri, popolari (quelli che festeggiano uno scudetto calcistico cambiando colore all'asfalto delle strade) o a volte aristocratici. C'è la Roma delle periferie, dei "ghetti" contemporanei e post-moderni che riropongono con infinita crudeltà un altro Ghetto, che fu parte integrante della tua storia.
C'è la Roma dei platani e dei fiumi: il biondo Tevere e il più trascurato Aniene, sulle cui rive sono nato.
C'è la Roma che lavora: quella dei Ministeri, ma anche quella delle fabbriche, degli uffici, dei ristoranti, dei bar, degli alberghi, e chissà quante altre attività che non riesco ad elencare tutte.
Sei una città matrona, a volte un po' matrigna, che tutti accoglie fra le sue polpose braccia, a tutti dispensa quella saggezza antica ma sempre attuale, che sembrerebbe a volte rassegnazione, ma a guardarla bene offre riparo alle avversità della vita di ogni giorno.
Non mi piace paragonarti, perché non te lo meriti, perché sei unica, perché così ti conosco e ti amo, ma se New York viene chiamata "la Grande Mela", io ti chiamerei "il Grande Mirtillo".
Perdonami con un abbraccio.
un tuo affezionato figlio
mercoledì 6 luglio 2005
martedì 5 luglio 2005
Delirio di una notte di mezza Estate
Ma che fine hanno fatto quelle due persone di cui si parlava all'inizio ? Ah, sì, ecco: sono cadute vittima di un errore. Una specie di bestemmia pronunciata contro il destino. Ora si conoscono. O almeno, sanno delle reciproche esistenze. E anche qualcos'altro. Qualcuno potrebbe dire: "se la sono cercata". Stolti ! Una storia così non si scrive in una sola notte ! C'è voluto tanto sangue, ci sono voluti due cuori che battono ritmi diversi, forse incompatibili. E due menti curiose. Senza contare un migliaio di altre piccole cose.
Hai sete ? Ci sono domande che non attendono risposte. E ci sono risposte che non arriveranno mai. Mille intepretazioni possibili conducono ad un milione di errori, un milione di mondi sbagliati, dolorosi, angoscianti. Hai sete. Non ho niente da bere, ma solo uno stupido racconto che parla di due persone che non si conoscevano, che non si sarebbero mai incontrate. Succede che il tempo passa, e sembra che faccia guarire le ferite. Ma certe segrete ferite del cuore restano lì, a guardarti mentre ti fai ancora altro male. Ho sete, ma non hai niente da darmi da bere. Non ti chiedono acqua i miei occhi che bruciano: quasi non vedono più, in questo deserto di sabbia, di sole. Due persone si allontanano verso l'orizzonte, ognuna verso il suo orizzonte. Ognuna ha il suo zaino, stivali, pistole. Non è più tempo di duelli per le strade vuote. L'orgoglio tramonta laggiù come il sole.
La mia sedia a dondolo continua nel suo movimento. Con gli occhi socchiusi racconto la storia di due persone lontane, che non si conoscevano. Le labbra si muovono appena, la voce ha un suono metallico. Racconto di musiche nate dal nulla, di boschi, di fate, di sogni e di valli incantate. Racconto di ponti su cui ci si incontra, racconto di passeggiate. Ormai non c'è parte del cuore che resti al di fuori di questo dolore, del sangue che scorre e si perde, del tempo che passa e ci perde, ogni istante più a fondo in questi abissi salati, in questo gorgo senza fine, di questo mare senza pietà.
Ho sete. Ho bruciato la lingua negando la sete, aspettando un bicchiere d'acqua da bere. Ho sangue ancora per non morire ora: devo finire di raccontare. Ci sono tenerezze che sfuggono perfino al destino. Quando vorresti, e non riesci, a mettere un po' di felicità nel bicchiere di qualcuno che ti sta a cuore, allora soffri davvero. Quando sei spettatore impotente di un altro dolore, non trovi limite alla tua sofferenza.
E' notte: soltanto la voce di grilli accompagna il cigolio della sedia. Non bevo da un secolo, e questo racconto sembra impastato di polvere e pioggia. Me la ricordo, la pioggia: scendeva a valanga sui vetri della mia finestra e giù dagli angoli degli occhi. Quando il dolore toglie il respiro e si fa lacrima e sale, non fa tanto male. Un fiume d'acqua nelle strade fangose, un fiume di inutili sentimenti ai piedi del cuore. E' notte: da lontano sento arrivare il vento. Porte che sbattono, come i pensieri nella mia mente. Non basta una notte a finire il racconto di due che non si conoscevano, ma che si sarebbero un giorno incontrati.
lunedì 4 luglio 2005
Nera
strada lunga
e nera.
Mi inghiotte
nera
la notte,
lontana
è ormai
la sera.
Corre
la strada lunga
corre
e mi porta
nel dove,
nel nulla,
altrove.
Spingo
l'acceleratore
del tempo
e fingo
di correre
a ritroso.
Ritrovo
le strade che
allora
non ho preso.
Rivedo
avanti a me
tre porte:
una bianca,
una rossa,
e l'ultima,
che ho aperto:
nera.
giovedì 30 giugno 2005
I cinque sensi
Tatto.
Ti bacio l'unghia dell'alluce,
la caviglia,
poi salgo
lungo il polpaccio
e l'interno della coscia
e poi più su,
le mie labbra
a toccar
le tue grandi labbra:
intensa,
breve tortura.
Sfiorandoti la pancia,
attraverso
la curva pianura
sotto cui batte
il tuo adorato cuore.
Le spalle,
il collo:
mi fermo
con un bacio lungo,
un brivido.
La guancia
sento
sotto la mia guancia,
e poi la bocca,
il naso,
il mento tuo:
volo sugli occhi,
sulla fronte atterro,
con le mani leggere
le tue spalle afferro.
Scendono sulla schiena,
approdano al sedere
che tanto ispira
il mio sensual volere.
Olfatto.
L'odore tuo,
gli odori
che da lontane sponde,
da nascosti e sensuali anfratti
ho imparato a conoscere,
entrano nella mente
e successivamente
dalle narici al sangue.
Scavando fra banali e finti
bagnoschiuma
e deodoranti estivi,
trovo le tue fragranze vere,
fortemente ataviche
e m'inebrio
di folle desiderio.
Gusto.
La lingua
ad affamarmi
del tuo corpo
invita:
sull'inguine,
sul collo tenero
e infine fra le dita,
a cogliere sapori
delicati e buoni,
finché la bocca tua
tutti li scioglie
e li rimanda a me,
fra schiume di saliva.
Udito.
Con gli occhi chiusi
e i sensi intorpiditi,
sento la voce tua
che canta
e come una sirena
ogni volta
m'incanta.
Entra nelle mie orecchie
il dolce suono
e scende nella schiena,
a ricordarmi il riso
e le parole
appena sussurrate
nelle sere d'estate:
un'estasi che vibra
e il desiderio accende
d'udire ancora
di te, sopra di me
le onde.
Vista.
Splende il tuo corpo,
come un unico lampo
nella penombra della stanza
e penetrano
le tue stupende forme
ad ammaliarmi le pupille,
a carezzarmi
il desiderio che di te
mi accende.
La luce nei capelli
gioca riflessi
mimetici di amplessi.
Dentro i tuoi occhi
tuffarmi è desiderio
che sale e non si placa,
e torno a guardarti
dal magnifico esterno
del tuo corpo
che promette e nega,
e nella superficie
della tua splendida pelle
il mio desiderio
annega.
martedì 28 giugno 2005
A cuore aperto
Ti scrivo così, a cuore aperto, come tante volte ci è riuscito, a me e a te, in questo tempo, da quando ci conosciamo.
Se non fosse per te, non godrei di questa nostra amicizia, di questo sentimento forte, limpido, semplicemente vissuto senza essere descritto, a dispetto di tutti i miei tentativi di analizzarlo, sezionarlo, proiettarlo nelle sue mille e mille sfaccettature.
Per te è sicuramente più semplice: tu ti muovi sul piano reale, fisico. Un amico è un amico. Per me è diverso.
Per me, tu sei diversa. Sai quante volte ti ho immaginata diversa da come sei, e non sai quante altre volte mi sei piaciuta esattamente come sei. Sono complicato, forse, e sicuramente è complicato avere a che fare con me. Di questo, lo riconosco, non hai avuto paura. Di altre cose, forse, ma non di questo.
Sono un handicappato. La maggior parte della gente mi considera un handicappato. Uno che non sa trattare con i sentimenti, uno che sta costantemente "sopra le righe", uno esigente. Ho un cattivo rapporto con tutto ciò che è "fisico". Considero il corpo quasi un male necessario, per consentire alla mente creativa (quella che talvolta chiamo "anima") di esistere, di esprimersi. Solo tu saresti forse riuscita a farmi accettare gli aspetti corporei della mia esistenza: mi avresti magari convinto, ma non con le parole, ad andare in palestra. Ma non ci siamo incontrati: e sai benissimo in che senso lo dico. Le nostre vite, i nostri destini, sono stati "lontani" per lunghissimo tempo e sono convinto che lontani sarebbero rimasti. Solo una piccola imperfezione del Cosmo, un minuscolo granello di polvere ci ha trasportati, una sera, a distanza di quasi mille chilometri, a trovarci vicini, a sentirci vicini.
Solo una volta lo siamo stati nel mondo reale. Mi meraviglia ancora, ogni volta che lo ricordo, con la stessa forza con cui allora mi fece meravigliare, quella domanda, quel tuo dubbio, quella tua incertezza: ora che ti avevo vista, mi piacevi ? Che assurdità, ai miei occhi, e soprattutto al mio cuore ! Ma certo che mi piacevi ! Eri esattamente come avrei voluto che fossi, anzi di più !
E adesso ? Sono convinto che noi due riusciamo a incontrarci ogni volta che davvero lo vogliamo, ogni volta che ci lasciamo alle spalle il peso di questo mondo reale, che in realtà ci divide. Tutto questo per dire: sei la mia Musa, e mi sembra un miracolo, mi sembra di vivere un sogno stupendo.
Please don't ask how many times I found you
Standing wet and naked in the garden
And I think of the days
And the different ways I held you
We were closely touching, yes our heart was beating
(Joe Cocker - Delta Lady)
lunedì 27 giugno 2005
Spiaggia
Un luccichio quasi uniforme copre la distesa d'acqua salata, calma, solo un po' increspata dalla brezza leggera del mattino. Il sole alle mie spalle, ancora basso, allunga la mia ombra a confondere un branco di pesciolini color sabbia, che nuotano nell'acqua limpida.
Non odo i rumori. Distendo lo sguardo e l'anima per cogliere ogni attimo di questo lieve sciacquio, ritmico e al tempo stesso irregolare, ancestrale come un richiamo che viene da molto, molto lontano.
Navigo: qualcosa mi trasporta al di là di quel mare, sopra la sua superficie, o appena al di sotto. Sento le molecole d'acqua scorrermi addosso, sento di avere le squame, respiro .. nell'acqua. Correnti più calde mi avvolgono, poi improvvisamente: freddo. Una massa scura si avvicina, un lampo e ..
Mi sveglio e non so dove sono: riesco a muovermi appena. Ecco, mi ero addormentato su quella spiaggia. Il vento mi passa un po' addosso. Vedo il tramonto, la sciara di fuoco sul mare. Mi alzo. Ancora pochi minuti e quel fiammeggiante riflesso sarà solo un ricordo. Strane orme sulla sabbia bagnata: gioco a camminarci sopra e mi accorgo che sono le mie. Una strana, assoluta, inattesa meraviglia mi avvolge. Non resta più segno del sole ormai tramontato, lontano. Un dubbio mi avvolge: ho visto o soltanto sognato ? Ritorno a me stesso.
venerdì 17 giugno 2005
Il vestito
non voglio più !
Ho freddo,
sono triste,
ho paura.
Questo vestito stretto,
fatto di corsa, brutto,
questo correre sempre,
questa competizione,
questa infame canzone,
questa ansia infinita
che voi chiamate vita
non voglio più.
Mi arrendo,
me ne vado,
come un bambino grido
che non ci gioco più:
prendete i miei giocattoli,
andate, divertitevi,
voi che potete !
E quel vestito stretto
puoi mettertelo tu !
martedì 14 giugno 2005
lunedì 13 giugno 2005
Le donne
lo so, non mi amano:
passano, forse chiedendo,
prendono e danno.
Non comprendo.
Le donne
nemmeno mi guardano,
o se guardano, forse non vedono.
Nessuna mi vuole
per quello che sono.
Le donne
a volte mi sognano,
e sognando mi inventano.
E poi soffrono,
fuggono, gridano e si disperano.
Le donne,
per me eterno mistero,
sogno mai vero,
ombra di quell'utopia
che, appena arrivata,
volata è già via.